Storia dell'Arte

L'architettura del ferro

L'architettura del ferro è un tipo di architettura che si sviluppa a metà ottocento grazie all'utilizzo di nuovi materiali e tecniche costruttive ed in particolare sfruttando l'impiego dell'acciaio o della ghisa come materiali principali nella costruzione di edifici.

Uno dei primi esempi di architettura innovativa è il Crystal Palace di Joseph Paxton a Londra nel 1851. Era costituito da 77.000 metri quadri di ghisa e vetro, ma è stato distrutto a Sydenham nel 1937 a causa di un incendio.

Altro celebre esempio è la Torre Eiffel a Parigi, costruita nel 1889 per la quarta esposizione universale. E' stata allestita al campo Marte con un'altezza di 300 metri (320 metri di altezza contando l'antenna che ora vi è costruita sopra).

In Italia ricordiamo la Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, costruita nel 1861, progettata da Giuseppe Mengoni. Più tardi Alessandro Antonelli progetta edifici come la Cupola di San Gaudenzio a Novara nel 1840 (con l'aiuto del capomastro Giuseppe Magistrini, con 122 metri di altezza e 5 cupole autoreggenti, e la statua di Salvatore di Pietro Zucchi), la Mole Antonelliana a Torino, il Duomo di Novara, l'Ospedale Maggiore della Carità, Casa Bossi, Casa Avogadro, Casa Giovanetti, Santuario di Boca, San Pietro e Paolo ad Oleggio, l'asilo di Bellinzago, lo Scurolo di San Alessandro a Fontaneto, Villa Caccia a Romagnano.

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Antonelli cupola san gaudenzio

Alessandro Antonelli - Cupola della chiesa di San Gaudenzio a Novara

Antonelli duomo novara

Alessandro Antonelli - Duomo di Novara

Antonelli duomo novara battistero romanico

Alessandro Antonelli - Il battistero romanico di Novara fotografato dal porticato del duomo

Antonelli mole antonelliana

Alessandro Antonelli - La mole antonelliana a Torino

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Joseph Paxton (1801-1865) il Crystal Palace

galleria macchine dutert

Ferdinand Dutert (1845–1906) - La galleria delle Macchine

galleria vitorio emanuele II milano

Giuseppe Mengoni - Galleria Vittorio Emanuele II a Milano

torre Eiffel

Gustave Eiffel - La torre Eiffel

 

Art Nouveau

L'Art Nouveau, conosciuto anche in Italia come stile floreale, stile Liberty o arte nuova, rappresentò un movimento artistico e filosofico che ebbe luogo tra la fine del XIX secolo e il primo decennio del XX secolo, influenzando le arti figurative, l'architettura e le arti applicate. Il termine Art Nouveau, che significa "arte nuova", fu originariamente coniato in Francia, dove il movimento era noto anche come Style Guimard, Style 1900 o École de Nancy (per quanto riguarda gli oggetti d'arte). In Gran Bretagna, invece, era noto come Art Nouveau, ma veniva anche chiamato Modern Style o Studio Style. In Germania, prese il nome di Jugendstil, che significa "stile giovane", mentre in Austria era conosciuto come Sezessionstil, che significa "secessione". Nei Paesi Bassi, venne tradotto come Nieuwe Kunst, in Polonia come Secesja, in Svizzera come Style sapin o Jugendstil, in Serbia e Croazia come Secesija, in Russia come Modern, e in Spagna era conosciuto come Arte Joven o più comunemente Modernismo.

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art nouveau2 

 

 

 

 

Arte paleocristiana

A partire dall'anno 313 d.C. (data dell'editto di Costantino che sancisce libertà di culto nell'impero romano per tutte le religioni), i primi cristiani sono finalmente liberi di professare la loro fede e di creare opere d'arte ed edifici dedicate ai riti religiosi. Le prime chiese non si ispirano ai tempi greco-romani, inadatti per il rito cristiano della comunione, adottano invece il modello della basilica civile, più ampia e spaziosa.

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basilica paleocristiana1

basilica paleocristiana3 

Basiliche costantiniane

Costantino

Basilica Salvatoris (San Giovanni in Laterano)

San Pietro (319 d.C.)

Basilica Apostolorum (San Sebastiano)

San Pietro e Marcellino

Costanza o Costantina (figlia di Costantino)

Sant'Agnese

Elena (madre di Costantino)

Santa Croce a Gerusalemme

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Mausoleo di Santa Costanza

Roma 350 d.C. Ca

Deambulatorio scuro galleria con volta a botte

La luce arriva dalle finestre poste sotto il tamburo

Vano centrale coperto a cupola con mosaico

Fonte battesimale dalla basilica di San Agnese fuori dalle mura

12 colonne binate in senso radiale (architrave + pulvino = sorreggono il tamburo)

 

obelisco teodosio2

obelisco teodosio3

Obelisco di Teodosio
390 – 393 d.C. Marmo, Costantinopoli (Istanbul, Turchia)

Base dell'obelisco di Teodosio (obelisco egiziano portato a Roma)

Imitazione della colonna traiana e di quella antonina a Roma

Teodosio e la sua corte assiste ai giochi al circo

popoli persiani e barbari si sottomettono

Posizione rigida e frontale

Ordine gerarchico e differenza di proporzioni

cristo buon pastore

Cristo come buon pastore

IV sec. d.C. / H. 92 cm – musei vaticani

Cristo salvatore

Cristo giovane e imberbe (riferimento ad Apollo)

Riferimento a Ermes Criofòro (portatore di Ariete - statua di Calamide V sec. a.C.)

Ermes salva la città greca di Tanagra dalla peste

Esempio tipico di arredo domestico

cristo docente

Cristo docente
Fine IV sec. d.C. / H. 72 cm / Roma Museo nazionale romano

Classicismo di età teodosiana

Cristo come ragazzo prodigio / sapienza innata

Capigliatura riccia e lunga come Apollo

Tunica e pallio (mantello di lana bianco usato dai romani al posto della toga)

Cristo intellettuale, maestro, filosofo pagano

Testo nel rotolo tenuto in mano

Cura dei dettagli: cuscino, schienale del seggio, zampe leonine, calzature

Maestranze orientali (forse di Afrodisia in Turchia)

sarcofago giunio basso

sarcofago giunio basso2

Sarcofago Giunio Basso
Figlio del console omonimo

Composizione architettonica divide le scene

Colonne dividono le scene

Superiore: architrave

Inferiore: frontoni triangolari e arcuati

Al centro Gesù: in alto consegna la legge a Pietro e Paolo

in basso entra a Gerusalemme

Trono di Gesù sorretto dalla personificazione del cielo

Alto rilievo

Sul coperchio (ora quasi perduto) scene di vita del defunto

sarcofago stilicone1

sarcofago stilicone2 

Sarcofago di Stilicone (385 – 390 d.C.)

Milano – Sant'Ambrogio

Sparisce architettura / Le figure occupano la superficie

Sfondo mura e porte della città

Cristo docente (senza barba) seduto sul monte del paradiso con i 12 apostoli

Cristo con barba consegna a Pietro la legge divina alla presenza di Paolo

Ai piedi i defunti inginocchiati

Erroneamente attribuito a Stilicone

dittici stilicone 

Dittici di Stilicone

400 d.C. Avorio, Monza, Museo del Duomo

Stile classico

Cornice architettonica

Generale romano MAGISTER MILITIUM (capo dell'esercito)

lavora per imperatore Onorio e Arcadio

Scudo con i busti dei due imperatori Onorio e Arcadio

Moglie Serena con il figlio

Moglie con mantello, tunica e cintura con pietre preziose e perle

Collana a doppio giro di perle

Figlio con tavoletta

Pieghe dei vestiti e decorazioni tessuti

formella barberini1

formella barberini2 

Formella Barberini

Prima metà del VI sec. - avorio, 34x27 cm, Parigi, Louvre

Immagine trionfale dell'imperatore (classico)

Immagine equestre

Torsione dei corpi e del cavallo (ellenismo)

Volto solenne e astratto

Imperatore (forse Giustiniano) loricato (con armatura)

Conficca la lancai nel suolo, segno di poterte

Un persiano consegna un simbolo di sottomissione

La vittoria lo incorona (destra)

La terra gli offre i frutti (in basso)

Due angeli in alto reggono un disco con Cristo senza barba

Simboli del sole, luna e stelle

santa pudenziana 

Cristo in trono tra gli apostoli
Mosaico absidale Santa Pudenziana, Roma, 390 d.C. ca

 

Bosch e un altro Rinascimento

Palazzo Reale di Milano, dal 9 novembre 2022 al 12 marzo 2023
A cura di: Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades, Claudio Salsi

Jheronimus Bosch (1453 1516) è noto in tutto il mondo per il suo linguaggio fatto di visioni oniriche e mondi curiosi, incendi, creature mostruose e figure fantastiche
Milano per la prima volta, sotto la direzione artistica di Palazzo Reale e Castello Sforzesco, rende omaggio al grande genio fiammingo e alla sua fortuna nell’Europa meridionale con un progetto espositivo inedito che presenta una tesi affascinante: Bosch, secondo i curatori, rappresenta l’emblema di un Rinascimento ‘alternativo’, lontano dal Rinascimento governato dal mito della classicità, ed è la prova dell’esistenza di una pluralità di Rinascimenti, con centri artistici diffusi in tutta Europa.
 
Lisbona
Jheronimus Bosch - Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio - 1500 circa - Olio su tavola - Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga - © DGPC/Luísa Oliveira

Il percorso espositivo presenta un centinaio di opere d’arte tra dipinti, sculture, arazzi, incisioni, bronzetti e volumi antichi, inclusi una trentina di oggetti rari e preziosi provenienti da wunderkammern. I
n questo ricchissimo corpus spiccano alcuni dei più celebri capolavori di Bosch e opere derivate da soggetti del Maestro - mai presentate insieme prima d’ora in un’unica mostra. Bosch è infatti autore di pochissime opere universalmente a lui attribuite e conservate nei musei di tutto il mondo. Proprio perché così rari e preziosi, difficilmente i capolavori di questo artista lasciano i musei cui appartengono, e ancora più raramente si ha la possibilità di vederli riuniti in un’unica esposizione. Proprio per la fragilità e la peculiarità dello stato di conservazione, alcune opere dovranno rientrare nelle loro sedi museali prima della chiusura della mostra. Si tratta delle due opere del Museo Lázaro Galdiano di Madrid (Meditazioni di san Giovanni Battista e La Visione di Tundalo) che potranno essere visitate dal pubblico fino al 12 febbraio e delle due opere prestate dalle Gallerie degli Uffizi (l’arazzo Assalto a un elefante turrito e Scena con elefante) che rimarranno in mostra fino al 29 gennaio.

L’esposizione di Palazzo Reale non è una monografica convenzionale, ma mette in dialogo capolavori tradizionalmente attribuiti al Maestro con importanti opere di altri maestri fiamminghi, italiani e spagnoli, in un confronto che ha l’intento di spiegare al visitatore quanto l’‘altro’ Rinascimento - non solo italiano e non solo boschiano - negli anni coevi o immediatamente successivi influenzerà grandi artisti come Tiziano, Raffaello, Gerolamo Savoldo, Dosso Dossi, El Greco e molti altri. Attraverso un lavoro di ricerca durato cinque anni, la mobilitazione di una rete di cooperazione culturale internazionale senza precedenti tra governi, ambasciate, musei, istituti culturali e collezionisti, è nata una mostra unica per la potenza del racconto di un’intera epoca artistica e per l’importanza e la varietà dei confronti presenti in mostra.

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Jheronimus Bosch - Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (particolare) - 1500 circa - Olio su tavola - Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga - © DGPC/Luísa Oliveira

Grazie alla collaborazione tra istituzioni italiane, in particolare dell’Ambasciata d’Italia in Portogalloma anche dell’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona con il Museu Nacional de Arte Antiga, a Palazzo Reale sarà possibile ammirare il monumentale Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, opera che ha lasciato il Portogallo solo un paio di volte nel corso del Novecento e giunge ora in Italia per la prima volta. Al Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona viene prestata in cambio la ‘nostra’ Pala Trivulzio (nota
anche come Madonna in gloria e Santi) di Andrea Mantegna, che fa parte delle Raccolte artistiche deCastello Sforzesco. Altro importante prestito, frutto di uno scambio con la città di Bruges, è l’opera monumentale del Maestro, proveniente dal
Groeningemuseum di Bruges, il Trittico del Giudizio Finaleche originariamente faceva parte della collezione del cardinale veneziano Marino Grimani. Fondamentali per il progetto espositivo il prestito del Museo del Prado dell’opera di Bosch, Le tentazioni di
Sant’Antonio, e i capolavori del Museo Lázaro Galdiano, che ha concesso la preziosa tavola del Maestro San Giovanni Battista. E ancora, sempre di Bosch, il Trittico degli Eremiti delle Gallerie dell’Academia di Venezia, proveniente dalla collezione del cardinale Domenico Grimani, collezionista fra i più importanti del suo tempo e tra i pochissimi proprietari delle opere di Bosch in Italia.

È anche attraverso lo scambio di opere d’arte che l’arte e la cultura svolgono il loro ruolo di vettori di crescita e di strumenti di relazione tra le città e le nazioni, portando avanti il processo di arricchimento di un Paese ha affermato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi . Il progetto di questa mostra è il frutto di un processo di cooperazione internazionale durato cinque anni, che ha prodotto un’esposizione preziosa dal taglio assolutamente originale, in grado di raccontare ai visitatori un Rinascimento diverso
rispetto a quello che ha visto i propri fasti in Italia tra il Quattro e il Cinquecento, creando orizzonti nuovi di conoscenza e bellezza”.

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Jheronimus Bosch - Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (particolare) - 1500 circa - Olio su tavola - Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga - © DGPC/Luísa Oliveira

LA TESI DELLA MOSTRA

Per quanto possa apparire strano, la fama di Bosch non iniziò nelle Fiandre, dove l’artista era nato, ma in Europa meridionale. Il fenomeno Bosch’ ebbe infatti origine nel mondo mediterraneo, precisamente nella Spagna e nell’Italia del Cinquecento. A quel tempo però in Italia dominava il classicismo rinascimentale. Ma sarà proprio qui che il linguaggio fantastico e onirico di Bosch e dei suoi seguaciprotagonisti di un ‘altro Rinascimento’, troveranno il terreno più fertile e maturo per crescere e diventare modello figurativo e culturale per quel tempo e per molte delle generazioni di artisti successive, anche a distanza di secoli. In particolare, viene proposto il raffronto tra i quattro arazzi boschiani dell’Escorial e un cartone per il quinto arazzo andato perduto e riconosciuto nelle collezioni delle Gallerie degli Uffizi. A questo proposito, è opportuno sottolineare l’immensa importanza in termini artistici ed economici dell’arazzo nella cultura del Cinquecento europeo: era un vero e proprio status symbol dell’élite. Ecco perché poter ammirare, grazie ai prestiti dell’Escorial e delle Gallerie degli Uffizi, l’intero ciclo degli arazzi boschiani è un’occasione irripetibile: infatti, i quattro arazzi dell’Escorial non sono mai stati esposti insieme fuori dalla loro sede, e il confronto con il cartone dell’Elefante, per il quinto arazzo
della serie, ora perduto, risulta totalmente inedito. 
Il percorso si propone di illustrare lo strepitoso successo del linguaggio artistico di Jheronimus Bosch nell’Europa meridionale e addirittura oltre oceano, nel periodo compreso tra il Cinquecento e gli inizi
del Seicento, con particolare riferimento alle tendenze del collezionismo dell’epoca, soprattutto in Italia in Spagna. Così a Venezia l’unicità espressiva di Bosch venne prontamente colta da uno dei maggiori collezionisti del tempo, il letterato e cardinale Domenico Grimani. È grazie al suo gusto lungimirante e alla collezione Grimani, custodita nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, se oggi in Italia possiamo vantare ben tre opere di Bosch, tra le quali il Trittico degli Eremiti, ora esposto nelle sale di Palazzo Reale.

Lo stesso si può dire della Spagna, dove, dal XVI secolo fino ad oggi, si trova la gran parte delle opere principali di Bosch, fra il Museo del Prado e il Monastero dell’Escorial. Non a caso sono autori spagnoli i 
primi e più impegnati critici di Bosch.

Eremiti Venezia

Jheronimus Bosch - Trittico dei Santi Eremiti - 1495-1505 circa - Olio su tavola - Venezia, Gallerie dell’Accademia - © Gallerie dell’Accademia di Venezia / su concessione del Ministero della Cultura

Era questa in modo particolare l’area geografica e culturale in cui le opere dell’artista e dei suoi seguaci furono richieste. Potremmo affermare a questo proposito che il linguaggio boschiano, nei decenni successivi alla morte del Maestro, stava alla base di un’operazione imprenditoriale senza precedenti a livello europeo. In effetti la fortuna del linguaggio boschiano è all’origine di un vero e proprio Rinascimento alternativo’, che risulta poco riconosciuto anche nella letteratura specialistica. Perché una mostra anche ‘di confronti’La ‘moda’ delle immagini ‘alla Bosch’, affermatasi in Spagna e in Italia e successivamente nel resto d’Europa, si rifletteva in una serie di spettacolari opere d’arte realizzate in molteplici tecniche e di varie provenienze, tra cui si distingue lo strepitoso ciclo dei quattro arazzi dell’Escorial e l’arazzo con l’elefante del pittore francese Antoine CaronTutte queste opere attestano la diffusione mediterranea di motivi visionari e onirici, ispirati all’immaginario dell’artista fiammingo. Queste creazioni, a loro volta, stimolarono un nutrito numero di pittori e incisori di spicco. In particolare le stampe che diffondevano il linguaggio boschiano, tra cui emerge l’opera di Pieter Bruegel il Vecchio (il più importante seguace di Bosch) presente in mostra con una decina di incisioni derivate da sue composizioni.

Le incisioni contribuirono in maniera decisiva alla diffusione del gusto per le immagini di incendi notturni, scene di stregoneria, visioni oniriche e magiche. Lo confermano opere come lo Stregozzo di Marcantonio Raimondi o Agostino Veneziano, il Mostro marino di Albrecht Dürer e il capolavoro letterario editoriale di Aldo Manuzio, la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna e anche l’Allegoria della vita umana di Giorgio Ghisi.
 
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Marcantonio Raimondi o Agostino Veneziano - Lo Stregozzo - Prima metà XVI secolo - Bulino - Milano, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” - © Comune di Milano

La proliferazione di oggetti rari, bizzarri e preziosi che caratterizza la moda delle collezioni eclettiche tipiche del gusto internazionale cinquecentesco viene evocata nell’ultima sala, allestita come una originale Wunderkammer, grazie alla collaborazione del Museo di Storia Naturale di Milano e delle Raccolte del Castello Sforzesco. La presenza studiata e calcolata di una trentina di oggetti da ‘camera delle meraviglie’ riporta a un confronto immediato e diretto con la rappresentazione caotica e irrealistica di uno dei capolavori più impegnativi di Bosch: Il giardino delle delizie, presente in mostra nella doppia versione di un dipinto coevo e di un arazzo. Particolarmente famose erano le Wunderkammern degli ultimi sovrani Asburgo e in particolare di Rodolfo II d’Asburgo, il cui ritratto, il famoso Vertumno dipinto dall’artista milanese Arcimboldo (un eccezionale prestito del Castello di Skokloster, Svezia), è presente in mostra all’interno della wunderkammer riprodotta e rappresenta in pieno l’eclettismo tipico di questo gusto collezionistico.

Svezia

Giuseppe Arcimboldo - Vertumnus - 1590 - Olio su tavola - Skokloster Castle Collections / National Historical Museum, Svezia - © Skokloster Castle Collections / National Historical Museum, Svezia

LE VISIONI’ DI BOSCH

La magia e il sogno, con la loro natura imprevedibile e non dominata dalla razionalità, sembrano l’esito di una visione ‘in trasparenza’ della realtà quotidiana, che mette a nudo le inquietudini, le ossessioni e la natura contraddittoria dell’uomo e della società: un clima culturale che troviamo ampiamente diffuso alla vigilia di quelle svolte epocali che sarebbero state la Riforma prima e la Controriforma poi. Queste categorie figurative sono anche l’occasione per indagare le profondità del mondo interiore e le sue incongruenze e renderle oggetto di riflessioni apprezzate presso ambienti colti e curiosi e tra un pubblico non estraneo a propositi marcatamente morali. Le composizioni religiose e profane di Bosch sono anche dominate dal concetto di complessità del reale
che, nella sua estremizzazione si popola di figure scomposte, di situazioni paradossali e illogiche, di esseri destrutturati, mostruosi e crudeli, ma anche di figure purissime di giovani ignudi che popolano la terra senza pudori: insomma un mondo capovolto. In questo universo la tentazione e l’errore sono sempre in agguatopronti a rovinare l’uomo. L’uomo del Cinquecento era consapevole che le opere d’arte portavano messaggi simbolici che andavano interpretati in senso educativo e formativo e pensiamo che in questa dimensione accogliessero e apprezzassero questi soggetti con particolare favore. 
Il cosiddetto ‘mondo delle grottesche’ è l’altra faccia della stessa medaglia del fantastico in Bosch. La moda dell’arte ‘alla Bosch’ rimanda infatti a un interesse già affermato per le “mostruosità” e il grottesco”, che apparve in maniera dirompente alla fine del Quattrocento in Toscana e in Italia settentrionale in dipinti, disegni, incisioni e bronzetti di ottima fattura e grande fantasia (Bernardo Parentino, Severo da Ravenna, Marcantonio Raimondi, Giorgio Ghisi), ma anche nella moda delle grottesche all’antica, che si diffuse nei primi anni del Cinquecento in Italia, Spagna e Francia. Alla fine del percorso un’opera audiovisiva di Karmachina, Tríptiko. A vision inspired by Hieronymus Bosch, con musiche di Fernweh, mette in scena un viaggio attraverso il mondo onirico del pittore fiammingo. Il titolo richiama il formato dell’opera principale da cui trae origine lo spettacolo, il Trittico del Giardino delle Delizie. L’opera alterna momenti più figurativi, dove è maggiormente evidente il rimando alle tavole di Bosch, ad altri più astratti, che evocano liberamente la natura visionaria e ‘lisergica’ dell’opera del maestro. I dipinti sono riportati in vita grazie all’utilizzo delle più innovative tecnologie: le opere pittoriche, rielaborate attraverso tecniche di animazione digitale, partecipano così alla costruzione di un racconto immersivo, suggestivo e ammaliante.

Inoltre, data la complessità dell’opera di Bosch, la varietà delle possibili interpretazioni e la profondità scientifica proposta nel percorso espositivo, si è reso necessario pensare ad un ulteriore strumento di accompagnamento alla visita. Durante i weekend, un gruppo di mediatori culturali accompagneranno il pubblico in una lettura più approfondita e tematica delle opere esposte: un percorso di osservazione complementare dalla visita guidata e dall’audioguida, in quanto contempla un ruolo attivo del visitatore, chiamato a relazionarsi con l’operatore, l’ASK ME, in un dialogo di arricchimento e scoperta reciproca. Brevi incuriosi legate ad aspetti specifici dell’opera di Bosch e dei suoi seguaci con un focus più puntuale sul costume e la società coevi all’artista, la simbologia e l’iconografia all’interno delle opere, in unione a rimandi letterari e filosofici.

Per l’occasione 24 ORE Cultura ha pubblicato tre libri dedicati al maestro, tra cui il catalogo, nella veste di preziosa guida alla mostra, un grande volume d’arte a cura dei professori Bernard Aikema e FernandoCheca Cremades e, infine, una dissacrante graphic novel del giovane e talentuoso illustratore Hurricane.

Giovanni Battista

Jheronimus Bosch - San Giovanni Battista - 1495 circa - Olio su tavola - Madrid, Museo Lázaro Galdiano -© Museo Lázaro Galdiano, Madrid

LE SEZIONI IN MOSTRA

Introduzione alla mostra

Eccezionalmente in Italia, Milano celebra la figura di Jheronimus Bosch (c. 1450-1516), uno degli artisti più enigmatici e curiosi del Rinascimento, e la sua fortuna nell’Europa meridionale, riunendo nella suggestiva cornice di Palazzo Reale alcuni dei suoi rari dipinti autografi e diverse opere di suoi allievi e seguaci. Il nome “Bosch” non può non evocare scene di inferni popolati da creature mostruose, notti allucinanti illuminate da incendi e personaggi che oscillano fra il grottesco e il ridicolo. Sin dai primi commenti cinquecenteschi sulla sua opera, infatti, Bosch è stato definito un pittore di mostri ed incubi e la sua bizzarria, la sua eccezionalità sono sempre state riconosciute e messe in evidenza. Questo perché i suoi dipinti caotici, affollati da ibridi e chimere, offrono un’immagine molto diversa da quella di equilibrato classicismo e bellezza ideale che la tradizione storico-artistica associa al concetto di Rinascimento.
Uno degli obiettivi di questa mostra è fornire una diversa prospettiva, che si discosti dalla concezione di un Rinascimento uniforme, monolitico e di stampo tosco-romano, ovvero quello descritto dalla narrazione vasariana. Si propone invece l’idea di un momento storico multiforme, in cui l’arte di Bosch sia rappresentativa di un Rinascimento “alternativo”, parallelo a quello classicheggiante; ma non solo, anche ad altri “Rinascimenti” molteplici che hanno caratterizzato centri e periferie artistiche in questi secoli di grandi scoperte e di curiosità culturale.

I punti cardine della mostra sono gli esiti dell’impatto della cultura immaginativa boschiana e il contesto della loro recezione. Perciò, anziché una convenzionale presentazione monografica, si propongono sezioni tematiche e stimolanti confronti tra dipinti dell’artista e una varietà di pitture e oggetti d’arte. Sono presenti anche opere grafiche, fondamentali per la diffusione delle invenzioni dell’artista dentro e fuori l’Europa; una spettacolare serie di quattro arazzi “alla maniera di Bosch” che non è mai stata esposta integralmente
fuori dalla Spagna finora; e si è ricreata un’ideale Wunderkammer, o camera delle meraviglie, la cui forma e contenuto rispecchia la varietà e la peculiarità di oggetti e personaggi riprodotti negli affollati dipinti 
boschiani.

La fortuna di Bosch e del suo immaginario come fenomeno di rilevanza europea ha origine nei territori mediterranei, specialmente in Italia e in Spagna, dove il contesto artistico e culturale, già imbevuto di una tradizione del grottesco e del caricaturale, fornisce terreno fertile per l’apprezzamento dell’opera boschiana. È in Italia, nelle collezioni veneziane di Domenico e Marino Grimani, e nelle corti spagnole e centro-europee degli Asburgo, la casata che nel XVI secolo dominava sull’Europa, che troviamo i più precoci
esempi di un collezionismo affascinato dalle opere di Jheronimus Bosch, ed è in questi ambienti che prende forma il cosiddetto “fenomeno Bosch”, che avrà un impatto significativo sul “lungo Cinquecento” europeo.
 

È il cronista Marcantonio Michiel a fornire la prima descrizione delle opere di Bosch come “inferni”, “mostri” e “sogni”, dimostrando come le sue invenzioni venissero recepite dagli spettatori fin dai primi anni del XVI secolo. Michiel si riferisce alle tavole nella collezione veneziana del cardinale Domenico Grimani, che quasi certamente possedeva il Trittico dei santi eremiti assieme ad altri suoi dipinti. Questa immagine di Bosch come artista fantasioso, o come pictor gryllorum”, ovvero pittore di scene ridicole, viene adottata prima in Italia e in Spagna e poi nel resto d’Europa, cristallizzandosi per i secoli a venire. Il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio è un’opera magistrale che si può considerare emblematica dell’opera di Bosch, perché presenta tutte le caratteristiche associate al suo nome: i fuochi infernali che guizzano nella notte, le architetture contorte, ma soprattutto la miriade di mostri, ibridi e personaggi grotteschi entro scene inquietanti o stravaganti. Non è un caso che si parli di “immaginario boschiano” quando ci si riferisce a queste invenzioni fantasiose e grottesche.

Elementi simili, ma più attenuati, sono presenti anche nelle Meditazioni di san Giovanni Battistaframmento di un altare più grande per una commissione prestigiosa. Qui è ancor più evidente come, per fruire appieno l’opera di Bosch, occorra avvicinarsi e osservarne i dettagli, scoprendo continuamente particolari nuovi e sorprendenti.

Questo atteggiamento richiesto allo spettatore ne stimolava la curiosità, e lo portava a riflettere sul contenuto dei dipinti, che non si esauriva a un primo sguardo. L’opera boschiana, infatti, si presta a diversi livelli di lettura, sia moralistico-religiosi sia ridicoli e allegorici, invitando alla conversazione dotta per la sua pluralità semantica.

Tondalo

Bottega di Jheronimus Bosch - La visione di Tundalo - 1490-1525 circa - Olio su tavola - Madrid, Museo Lázaro Galdiano - © Museo Lázaro Galdiano, Madrid

Classico e anticlassico tra Italia e Penisola Iberica

Nell’Europa meridionale la recezione dell’opera boschiana si lega all’aspetto fantasioso delle sue opere e all’utilizzo di un linguaggio visivo bizzarro che si discosta da quello considerato “classico”. Nell’immaginario comune, dovuto in gran parte alla narrativa del Rinascimento come italocentrico e classicista, Bosch diventa esemplare di un “altro Rinascimento”. Eppure, la dicotomia che nel Cinquecento oppone classico e anticlassico non era così radicale come afferma la storia dell’arte tradizionale. Ne è un esempio Leonardo da Vinci, artista paradigmatico del Rinascimento, che nel suo Codice Trivulziano, tra appunti e studi tecnici, inserisce dei volti caricaturali non molto differenti da quelli rappresentati da Bosch negli stessi anni. Una particolare versione del fantastico e del mostruoso che diventa popolare nel Cinquecento italiano è quella delle grottesche. Si tratta di una forma decorativa di origine classica, riscoperta negli affreschi della Domus aurea, che viene diffusa soprattutto attraverso le sue elaborazioni raffaellesche. Questo tipo di decorazione appare in Italia secondo forme e contesti molto diversi: come motivo a stampa nell’esempio di Nicoletto Rosex, in forma di arazzo su disegno di Perin del Vaga, su un prezioso scudo da parata milanese. Anche in Spagna il gusto per la decorazione fantastica e mostruosa è introdotto attraverso la grottesca, e precede l’interesse per l’opera di Bosch che caratterizzerà la corte asburgica di Filippo II. Uno degli artisti fondamentali per la diffusione di questa forma decorativa è Alonso Berruguete, autore del Retablo de San Benito. I motivi fantastici appaiono nell’architettura di altre città come Salamanca, per esempio la serie di capitelli mostruosi nel chiostro del convento di las Dueñas. Si sviluppano perciò molteplici interpretazioni del fantastico, che fanno capo a diverse tradizioni, ma che continuano a coesistere per tutto il XVI secolo. Così troviamo il boschiano scudo di Praga accanto alla post-raffaellesca Rotella milanese, e assieme alle decorazioni all’antica italiane compaiono motivi “alla fiamminga” nei palazzi di Lagnasco, Sabbioneta e addirittura nella Casa dello Zecchiere a Milano.

Il sogno

Nell’Europa meridionale, il nome di Bosch viene associato fin dai primi decenni del Cinquecento all’invenzione pittorica di inferni, sogni e incubi. Questa interpretazione in chiave fantastico-onirica si sviluppa nel contesto di un rinnovato interesse letterario per il tema del sogno, alimentato dalla riscoperta di manoscritti antichi su questo soggetto. Un esempio è l’Onirocritica, trattato greco sull’interpretazione dei sogni di Artemidoro di Daldi in cui si descrivono le diverse tipologie di sogno e i loro simboli. Sulla scia di questi testi nascono opere visionarie e immaginifiche, in cui s’intrecciano elementi umoristici, erotici, filosofici e di critica sociale. Nel 1499 viene pubblicato un testo che avrà un grande impatto sulla cultura cinquecentesca, ovvero l’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, in cui si svolge un viaggio allegorico di stampo classico. Accanto a questo genere prende forma nel Nord Italia anche quello della letteratura maccheronica, in cui si utilizza un linguaggio misto di latino e dialetto per raccontare storie grottesche. Il Baldus, poema maccheronico di Teofilo Folengo, edito per la prima volta nel 1517, descrive un viaggio verso l’inferno ricco di dettagli ridicoli e bizzarri che rievocano sia le composizioni boschiane sia l’opera dei suoi imitatori riprendendo ad esempio l’immagine della landa desolata in cui spicca l’ingresso all’oltretomba raffigurato nella Discesa di Cristo al Limbo.

Anche nella pittura e nella grafica italiana appaiono rappresentazioni a tema onirico che si rifanno a queste tradizioni letterarie e che recepiscono le invenzioni di Bosch. Un esempio fondamentale è l’incisione del Sogno di Raffaello di Marcantonio Raimondi, che rielabora gli incendi di suggestione boschiana, i mostriciattoli di grafica nordica e le creature ibride riprodotte in bronzetti e calamai cinquecenteschi. La fortunata incisione e le sue atmosfere da incubo vengono poi riprese da opere come il Sogno di Battista Dossi e l’Allegoria della vita umana di Giorgio Ghisi, che nella sua composizione rende ancora più esplicito l’aspetto “alla Bosch”, ispirando altri artisti attivi alla fine del secolo.

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Giorgio Ghisi (da disegno di Raffaello) - Allegoria della vita umana - 1561 - Bulino - Pavia, Musei Civici - © Comune di Pavia

La magia

Nel corso del Cinquecento si sviluppa una tematica artistica che resta in voga fino al Seicento inoltrato, ovvero la rappresentazione di riti magici e sabba infernali. Questi soggetti emergono in relazione alla ripresa dei processi per stregoneria sul finire del XV secolo e alla pubblicazione di manuali e trattati per riconoscere e punire le streghe. In questo genere di opere, sia pittoriche che grafiche, vediamo manifestarsi due tendenze particolari, una di stampo classicheggiante, e una invece legata all’immaginario del folklore. La prima tendenza fa riferimento alla cultura umanistica, e ritrae le maghe tratte dalla mitologia e dai testi antichi, focalizzando l’attenzione sull’aspetto seduttivo della narrazione e sull’erudizione delle fonti letterarie. La seconda è più strettamente legata all’elemento diabolico e misogino della stregoneria, che vedeva le donne come più prone a soccombere alle tentazioni del demonio. In questi casi le streghe hanno sembianze terrificanti e grottesche derivate dalle credenze popolari, come nella stampa denominata Lo Stregozzo, che ritrae una vecchia intenta a rapire e divorare i bambini. Nell’Europa meridionale le scene di magia e stregoneria riprendono sin dal primo Cinquecento aspetti grotteschi e mostruosi alternativi al canone classico, e tipici della pittura e della grafica d’Oltralpe. Il Garofalo, già nel 1528, rielabora modelli dei seguaci di Bosch, così come fa il fiammingo Gillis Coignet nella Scena di magia dipinta durante il suo soggiorno in Italia. Nel Seicento, artisti come Joseph Heintz il Giovane e Jan Brueghel il Vecchio sono esponenti di un revival boschiano destinato al collezionismo raffinato e che fa riferimento all’immagine dell’artista sviluppatasi attraverso la stampa e l’opera dei suoi imitatori.

Visioni apocalittiche

Nella dottrina cristiana, il giudizio universale sancisce la salvezza o la punizione eterna tra i tormenti dell’Inferno. Fra Medioevo e Rinascimento, la preoccupazione per la sorte ultraterrena dell’anima si esprime nella copiosa produzione di immagini del “giudizio finale”, ovvero il momento in cui Cristo separa i meritevoli dai peccatori. Questo soggetto è uno dei favoriti tra i committenti e i collezionisti dell’opera di Bosch, che ne possiedono diverse versioni. Una si trovava nelle mani di Filippo I d’Asburgo detto il Bello, padre del futuro imperatore Carlo V, mentre il Giudizio finale qui esposto apparteneva al cardinale Marino Grimani, nipote del collezionista veneziano Domenico Grimani, ovvero uno dei più precoci estimatori dell’arte boschiana in Italia e proprietario del Trittico dei santi eremitiNel comporre questo capolavoro assoluto dell’arte rinascimentale, Bosch fa riferimento a esempi sullo stesso tema realizzati dei maestri della pittura fiamminga del XV secolo, fra cui Rogier Van der WeydenJan Van Eyck e Hans Memling, ma ne esaspera il carattere immaginifico, popolando il trittico di mostri, ibridi e dettagli allucinanti che invitano lo spettatore ad avvicinarsi e a districarne il contenuto. L’iconografia boschiana del giudizio universale ha un impatto che si estende dall’Europa settentrionale e meridionale fino all’America latina. Mostri ripresi direttamente dal dipinto di Bosch appaiono nelle Tentazioni di sant’Antonio del pittore bresciano Giovanni Gerolamo Savoldo, pittori fiamminghi come Herri met de Bles II detto il Civetta e Pieter Huys rielaborano la composizione, ma è attraverso il mezzo della stampa e dell’emulazione dell’invenzione boschiana attuata da Pieter Bruegel il Vecchio che se ne favorisce la diffusione. Questo immaginario ha successo anche nelle chiese peruviane del XVII secolo, come nel caso dell’enorme Giudizio finale nel convento di San Francesco a Cuzco dipinto da Diego Quispe Tito, e dell’opera pittorica di Leonardo Flores.

Garten der Luste

Bottega di Jheronimus Bosch - Il giardino delle delizie - 1500 circa - Olio su tela - Collezione privata

Le tentazioni di sant’Antonio

Le molteplici versioni delle tentazioni di sant’Antonio realizzate da Jheronimus Bosch e dai suoi seguaci sono fra le più popolari a livello europeo. La più celebre tra queste è certamente il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di Lisbona, pezzo d’apertura della mostra del quale si contano almeno quarantuno repliche, che fornisce un esempio esaustivo della caotica fantasia associata alla figura di Bosch. Sebbene questo sia il più esemplare, l’artista tratta il soggetto con approcci diversi, come è evidente dalla tavola del Prado, in cui il santo è raffigurato isolato e in meditazione, in una composizione equilibrata ben lontana da quella di Lisbona. L’iconografia di sant’Antonio tormentato dai diavoli e tentato da donne sensuali ha un carattere morale, offre agli artisti la possibilità di sperimentare con fantasiose combinazioni di mostri e chimere. Sono questi aspetti a rendere popolari le invenzioni boschiane, che però non sono l’unica fonte visiva di riferimento. Per tracciare la fortuna del tema tra i Paesi centro-europei asburgici e l’Europa mediterranea, occorre infatti ricordare l’esempio dell’artista tedesco Martin Schongauer, il cui sant’Antonio trasportato in cielo dai demoni fa da modello sia allo stesso Bosch sia ai suoi imitatori, come il Maestro J. Kock e Jan Brueghel il Vecchio.
Nel corso del Cinquecento, l’iconografia delle tentazioni di sant’Antonio si estende alle rappresentazioni di san Cristoforo e di san Giovanni Battista, ed è rielaborata secondo un linguaggio d’ispirazione boschiana anche dai suoi seguaci, tra cui Pieter Bruegel il Vecchio. Sono questi artisti a stabilire i canoni di un immaginario che soddisfi la domanda dei collezionisti di opere “alla Bosch”, che continua nel secolo successivo con le stampe di Jacques Callot e i dipinti Jan Brueghel.

Madrid Prado

Jheronimus Bosch - Le tentazioni di sant’Antonio - 1500-1525 circa - Olio su tavola - Madrid, Museo Nacional del Prado - © Foto MNP/Foto Scala, Firenze

La diffusione della stampa da Jheronimus Bosch a Pieter Bruegel il Vecchio

Gli aspetti che oggi consideriamo essere propriamente boschiani, dagli inferni ai mostriciattoli ibridi e alle scene grottesche, sono entrati nell’immaginario collettivo attraverso processi di selezione e ripetizione che hanno stabilito il “marchio” Bosch. Infatti, l’immagine di un artista non si definisce solo attraverso la sua opera, ma anche dal modo in cui quest’opera viene valutata, discussa e diffusa attraverso le fonti scritte e le fonti visive. Il principale mezzo di divulgazione dell’immaginario boschiano a livello europeo è sicuramente la stampa. Diversi incisori, in particolar modo fiamminghi, si cimentano precocemente in stampe che riproducono l’opera di Bosch, indicandolo chiaramente come inventore delle composizioni. Si sviluppa tuttavia anche un altro fenomeno, più complesso e interessante, il cui protagonista è Pieter Bruegel il Vecchio, in collaborazione con la casa editrice anversese Aux Quattre Vents di Hieronymus Cock. Bruegel, infatti, non copia dal suo predecessore, ma ne reinterpreta l’immaginario, preferendo l’emulazione all’imitazione. Facendo ciò, crea “nuovi Bosch”, rielaborando e accentuando gli aspetti ritenuti tipici dell’artista. Non è un caso che gli storiografi cinquecenteschi si riferiscano a lui come al “secondo Girolamo Bosco”, ritenendolo l’erede del pittore fiammingo. I disegni di Pieter Bruegel vengono incisi da Pieter Van der Heyden, che traduce in stampa molte delle sue reinvenzioni boschiane, a partire dalla serie dei Sette peccati capitali, ricordata anche da Vasari che ne riconosce sia l’inventiva sia l’intento umoristico. Grazie a questa operazione compiuta su più livelli – teorico, storiografico, grafico – il nome di Bosch rientra a pieno titolo tra gli artisti più celebrati e riconoscibili dell’arte neerlandese fin dal XVI secolo, e il suo “marchio”, o brand, si diffonde per tutta l’Europa e oltre, arrivando fino all’America Latina.

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Pieter Van der Heyden (da disegno di Pieter Bruegel il Vecchio) - Discesa di Cristo al Limbo - 1561 circa - Bulino - Milano, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” - © Comune di Milano

Jheronimus Bosch fra gli Asburgo e i Valois: la serie degli arazzi “alla maniera di Bosch”

L’arte di Bosch ottiene un particolare favore presso gli Asburgo, la dinastia che nel Cinquecento dominava sull’Europa. Allo stesso modo anche il re di Francia Francesco I di Valois, uno dei principali oppositori della casata asburgica, dimostra un interesse per l’immaginario boschiano, che continua per tutto il secolo con i suoi discendenti Enrico II ed Enrico III. Queste famiglie godevano di una grande influenza sia politica sia culturale sul territorio europeo, con esiti artistici di particolare rilevanza. Come esempio di questo esteso fenomeno, per prima cosa considereremo un gruppo di arazzi la cui storia produttiva e collezionistica manifesta l’apprezzamento per l’opera di Bosch di entrambe queste casate. La fortuna di Bosch in ambito asburgico si deve non solo ai regnanti, ma forse ancor di più a una serie di mecenati e collezionisti che facevano parte delle loro numerose corti. Qui ricordiamo in particolare il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, avido collezionista, il cui apporto alla casa degli Asburgo non si limita all’attività politica estendendosi a quella di consigliere artistico, fondamentale nell’educazione del re Filippo II di Spagna. L’interesse di Granvelle per l’arte di Bosch è dimostrato da un gruppo di quattro arazzi che riprendono le sue invenzioni, ma includendole in cornici architettoniche classiche. Gli arazzi derivano da Il giardino delle delizie, Il carro del fieno, Le tentazioni di sant’Antonio e San Martino e i mendicanti, e sono realizzati a partire da una serie, oggi perduta, commissionata proprio da Francesco I di Valois. La serie originale era stata intessuta prima del 1542, e comprendeva un quinto pezzo, non incluso fra quelli appartenuti a Granvelle, che rappresentava la scena dell’assalto a un elefante, tema di cui si discuterà nella prossima sezione.

Gli arazzi della serie di Granvelle, come probabilmente quelli appartenuti a Francesco I, non copiano con esattezza le composizioni boschiane, ma in alcuni casi sembrano anche rielaborare e includere il linguaggio “alla Bosch” dei suoi seguaci.

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Manifattura di Bruxelles - Il carro di fieno (Tribolazioni della vita umana) - 1550-1570 circa - Arazzo - Madrid, Patrimonio Nacional, Palacio Real - © Patrimonio Nacional, Madrid

L’assalto all’elefante: il quinto arazzo

La serie di arazzi “alla maniera di Bosch” appartenuta a Francesco I di Valois si completava con un quinto pezzo, il cui tema era l’assalto all’elefante. In particolare, questa scena non riprende una vera propria caccia, bensì una festa di carattere cortigiano in cui si inscenava un attacco a un elefante fittizio. Siccome l’arazzo originale è andato perduto e il gruppo in possesso del cardinale Granvelle non ne ha mai incluso una replica, il suo aspetto si può ricostruire solo attraverso due cartoni e diverse versioni a stampa, tra cui quella di Johannes e Lucas Van Doetecum qui esposta, testimoni anche della popolarità dell’invenzione boschiana. In questa sala non solo si mostrano assieme per la prima volta fuori della Spagna i quattro pezzi della serie, ma si vuole dare un’idea complessiva dell’originale gruppo di arazzi per Francesco I. Perciò si è cercato di integrare idealmente l’immagine dell’arazzo mancante attraverso il cartone degli Uffizi, che fa il paio con quello praticamente inedito di collezione privata, e attraverso il magnifico arazzo delle Feste dei Valois. Quest’ultimo fa parte di una serie commissionata da Caterina de’ Medici per onorare la casata dei Valois e, pur non avendo una relazione tematica o stilistica con gli arazzi di Granvelle, riprende in secondo piano il motivo boschiano dell’assalto all’elefante. L’iconografia dell’elefante rientra sia nel fenomeno rinascimentale del recupero di temi “all’antica”, sia nel gusto per l’esotismo extra-occidentale che si sviluppa nell’arte europea, e compare in diverse occasioni nell’opera di Bosch. Esistono anche corrispettivi scultorei di questo fenomeno, come il bronzetto tedesco di tardo Quattrocento qui esposto. La rappresentazione di un elefante poteva avere anche un significato ideologico, come nel caso della monarchia francese, che ne aveva fatto il simbolo del proprio re.

Elefante Uffizi

Copia da Jheronimus Bosch - Scena con elefante - XVI secolo - Olio su tela - Firenze, Gallerie degli Uffizi - © Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi

Bosch, la curiosità e il collezionismo enciclopedico

Nel Cinquecento, nel mondo delle corti si sviluppano forme di collezionismo enciclopedico, o “universale”. Queste collezioni prendono il nome di “camera delle meraviglie”, in tedesco Wunderkammer, e nascono con diversi scopi: in esse si tenta di catalogare il mondo visibile, si esprime lo status sociale del proprietario, e soprattutto si mira a stimolare il pubblico in vario modo, attraverso la curiosità e la varietà degli oggetti esposti. L’opera di Bosch riflette in pittura questo tipo di cultura internazionale di corte del XVI secolo. Quelli creati dall’artista sono infatti piccoli universi popolati da creature fantasiose e architetture bizzarre dove, tra un incendio e una chimera, si trovano anche particolari riprodotti con naturalismo quasi scientifico ed estrema cura per il dettaglio. Le opere del pittore si rivelano veri e propri microcosmi, specchio non solo del macrocosmo naturale ma anche dei sistemi di conoscenza dell’epoca. In questa sala si è cercato non di ricostruire un’antica collezione, ma di rievocare una Wunderkammer “ideale” organizzata secondo le categorie cinquecentesche, che ruota attorno al Giardino delle delizie di Jheronimus Bosch, il cui pannello centrale è qui presente in una rara copia d’inizio Cinquecento. Gli uccelli impagliati, esemplari della classe dei naturalia, si trovano riprodotti quasi esattamente nel Giardino delle delizie, così come gli strumenti musicali, esposti per la loro pregiata fattura a simboleggiare la vanitas, appaiono nel pannello laterale della stessa opera, raffigurante l’Inferno. I vari manufatti presenti rappresentano gli artificialia, ovvero gli oggetti creati dall’uomo, ed esprimono un gusto sia per il bizzarro, ritraendo mostri e chimere, sia per materiali pregiati come il corallo o l’avorio. In chiusura, due opere che possiamo definire mirabilia, mirate a suscitare sorpresa e perfino la risata: una riproduzione dell’automa diabolico della Collezione Settala e lo splendido Vertumnus di Giuseppe Arcimboldo, che ripropone una raccolta di meraviglie naturali nella forma del volto dell’imperatore Rodolfo II, ultimo grande collezionista del Rinascimento europeo.

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Giovanni Andrea Miglioli - Figura da capovolgere - Fine XVI - inizio XVII secolo - Acquaforte e bulino - Milano, Civica Raccolta delle Stampe - “Achille Bertarelli” - © Comune di Milano

 

Paul Cézanne

Paul Cézanne espone inizialmente con il gruppo degli Impressionisti. Si allontana poi dalle mostre parigine per una ricerca più personale che gli permetta di risolvere l'ambiguità su cui si base l'immagine: la tridimensionalità rappresentata su un supporto bidimensionale (la tela o il foglio di carta). La prospettiva inventata da Filippo Brunelleschi all'inizio del Rinascimento inganna l'occhio. Cézanne vuole trovare una soluzione più vera, concreta, una soluzione linguistica che riesca a rappresentare gli oggetti tridimensionali che ci circondano pur senza tradire la bidimensionalità del supporto e del disegno stesso. Attraverso una lenta e profonda ricerca riuscirà infine a risolvere il dilemma con i solidi semplici: tutto, nella sua pittura, viene riportato ad un insieme di sfere, cilindri e cubi. Non un inganno dell'occhio, bensì un codice accettato semanticamente che ci permette di rappresentare lo spazio.

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 Cezanne la casa dell impiccato

cezanne giocatori di carte

cezanne le grandi bagnanti

cezanne montagna sainte victoire

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cezanne montagna sainte victoire3cezanne natura morta

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cezanne ragazzo dal panciotto rosso

 

 

 

Espressionismo: Die Brűcke

L'Espressionismo tedesco, meglio noto come Die Brűcke (il nome programmatico si riferisce alla truduzione tedesca della parola il ponte, ovvero coloro che traghetteranno la società contemporanea verso il futuro dell'Arte), è la prima delle avanguardie artistiche, fondata nel 1905 da un gruppo di studenti della facoltà di architettura di Dresda: Ernst Ludwig Kirchner, Fritz Bleyl, Erich Heckel, Karl Schmidt Rottfluff. L'anno sucessivo si uniranno al gruppo Emil Nolde e Max Pechstein.

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james ensor entrata di cristo a bruxelles

James Ensor "Entrata di Cristo a Bruxelles.

karl schmidt rottluff estate

Karl Schmidt Rottluff "Estate".

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Kirchner "Postdamer platz".

Kirchner scena di strada berlinese

Kirchner "Scena di strada berlinese.

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 Emil Nolde "Ultima cena".

 

 

Fauves

Con il termine fauves (in francese "belve, selvaggi") si indica un movimento artistico d'avanguardia, che in realtà è un gruppo di pittori, perlopiù francesi, che nella prima parte del Novecento diedero vita a un'esperienza di breve durata temporale, ma di grande importanza nell'evoluzione dell'arte, perché ne proponevano l'innovazione. Questa corrente è chiamata anche fauvismo. L'origine del movimento è da ricercarsi nell'inserimento all'interno della tradizione impressionista francese, alla fine del XIX secolo, di spinte dotate di accenti romantici e nordici, come le proposizioni di Edvard Munch.

Il movimento ebbe la propria prima collettività grazie al Salon d'Automne di Parigi nel 1905. George Desvallières, vicedirettore del Salon e pittore egli stesso, aveva conosciuto alcuni di questi artisti durante un comune periodo di studio presso l'atelier di Gustave Moreau e decise di raggruppare alcune delle loro opere nella sala centrale del Salon in modo da amplificare l'effetto dirompente delle loro singolarità. Il primo ad utilizzare il termine fauves, o comunque a diffonderlo e renderlo celebre, fu il critico d'arte Louis Vauxcelles, che definì la sala come una "cage aux fauves" cioè una "gabbia delle belve", per la "selvaggia" violenza espressiva del colore, steso in tonalità pure. Sembra infatti che Vauxcelles, entrando nell'ottava sala del Salon d'Automne di Parigi (1905) dove esponevano gli artisti, vedendo una statua tradizionale circondata da dipinti dai colori molto violenti e accesi, avesse esclamato: "Ecco Donatello fra le belve!".

Gli artisti presenti nella stanza centrale del Grand Palais erano Henri Matisse (che espose la Donna con cappello, dipinta nel 1905), André Derain, Maurice de Vlaminck, Henri Manguin e Charles Camoin. Altri pittori da ricordare perché affini alla poetica Fauves sono Alexis Mérodack-Jeanneau, Pierre-Albert Marquet, Othon Friesz, Kees Van Dongen, Raoul Dufy, Henri Evenepoel e Georges Braque. Georges Rouault e il giovane Pablo Picasso rimasero al di fuori del movimento per un accento maggiormente ideologico.

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Andre derain asciugatura vele

André Derain, L'asciugatura delle vele, 1905, olio su tela, 82 x 101 cm, Mosca, Museo Puskin.

Maurice de Vlaminck ponte di chatou

Maurice de Vlaminck, Il ponte di Chatou, 1904, olio su tela, 23,5 x 25 cm, collezione privata.

matisse lusso calma volutta

Henri Matisse, “Lusso, calma e voluttà”, 1904, olio su tela, 98 x 118 cm, Centre Pompidou, Parigi.

Henri Matisse gioia di vivere

Henri Matisse, “La gioia di vivere”, 1905/06, olio su tela, 176,5 x 140,7 cm, Merion (Pennsylvania), Barnes Foundations.

Henri Matisse danza

Henri Matisse, “La danza”, 1909/10, olio su tela, 260 x 361 cm, San Pietroburgo (Russia), Museo Statale Ermitage.

Henri Matisse stanza rossa

Henri Matisse, “La stanza rossa” (Armonia in rosso”, 1908, olio su tela, 180 x 220 cm, San Pietroburgo (Russia), Museo Statale Ermitage.

Henri Matisse icaro

Henri Matisse, Icaro, dalla raccolta “Jazz”, 1946-1947, carta incollata su cartone, New York Metropolitan Museum.

 

Antoni Gaudí

Antoni Gaudí y Cornet, nato a Reus il 25 giugno 1852 e deceduto a Barcellona il 10 giugno 1926, è un famoso architetto spagnolo di cultura catalana. Benché sia considerato il massimo esponente del modernismo catalano, la sua personalità artistica non si inserisce completamente in tale movimento, anche se ne condivideva gli ideali e i temi. Gaudí arricchì il modernismo con una sua ispirazione personale, basata principalmente sulle forme naturali.

Le Corbusier lo descrisse come il "creatore di forme con pietra, laterizio e ferro". Gaudí fu un architetto estremamente prolifico e sette delle sue opere a Barcellona sono state incluse nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO dal 1984.

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Gaudi Sagrada Familia

 

Paul Gauguin

Paul Gauguin, anch'esso affascinato dall'estrema libertà della pittura impressionista, ricerca una soluzione pittorica semplice, diretta e soprattutto universale con la quale i popoli possano confrontarsi liberamente. Senza condizionamenti sociali, culturali e strutture predeterminate. Trova infine questa risposta nella forza del colore. Il "colore simbolico" per Gauguin è la forza espressiva dirompente che le differenti tinte e toni riescono a far scaturire in ogni essere umano, indipendentemente dalla sua cultura, istruzione o provenienza geografica. Il colore è un linguaggio democratico e universale.

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Leggi qui una scheda di approfondimento relativa a Paul Gauguin.

 

Gauguin Ad aha oe feii

Gauguin cristo giallo

Gauguin da dove veniamo

Gauguin la belle angele

Gauguin La visione dopo il sermone

Gauguin Delacroix giacobbe e angelo

"Giacobbe e l'angelo" interpretato da Delacroix.

Gauguin Orana Maria

Gauguin pont aven

La posizione di Pont Aven.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Henri de Toulouse-Lautrec

A causa di una malformazione alle gambe, in particolare ai femori, Henri de Toulouse-Lautrec rimane molto piccolo di statura. Questa malformazione gli causerà sofferenza fisica e psichica. Nel 1882 inizia a frequentare gli atelier parigini, dove conoscerà gli Impressionisti e Vincent Van Gogh. Molto attratto dalla pittura impressionista di cui ama soprattutto la capacità di trasportare sulla tela o sulla carta, quasi fosse un bozzetto, con immediatezza, velocità e dinamica, l'immagine che aveva nella mente, non tanto quella che percepisce con gli occhi. Non è infatti interessato alla pittura en plein air quanto piuttosto ad un segno pittorico elastico, spezzato, energico, rapido sul quale impostare l'inquadratura attraverso tagli fortemente fotografici e poi andare a porvi il colore con poche tonalità.

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Ascolta la lezione audio dedicata a Henri de Toulouse-Lautrec.

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Il linguaggio è un atto di creatività

Il linguaggio è un atto di creatività. Il linguaggio è il bisogno dell'uomo di esprimere il suo grido di libertà.

Non sappiamo chi, non sappiamo come né perché, non sappiamo neppure precisamente quando, ma tanti, tanti anni fa, i nostri antenati cominciarono a tracciare dei segni sulla sabbia, a disporre delle macchie sulle pareti delle grotte e diedero a quei segni un significato che essi non avevano. Quelle forme non erano più macchie casuali ma diventavano magicamente un viso, un uomo, un animale: disegni.

Ciò che distingue l'uomo dagli altri esseri viventi, ciò che ha permesso di evolverci, è la nostra capacità di dare agli oggetti un significato che essi non hanno nella realtà, di astrarre e in questo modo inventare. L'uomo primitivo probabilmente si stupiva di questa sua dote e, non sapendo come spiegarla, la considerava una sorta di magia. Assumeva ai suoi occhi un significato spirituale. Tutto ciò che lo circondava, a cui non sapeva dare una spiegazione, era magico: il fuoco, il fulmine, il giorno e la notte, la vita e la morte. Chi dipinse nelle grotte di Lascaux, Chauvet e Altamira, chi incise i sassi dei Camuni nelle valli della val Camonica, era probabilmente anche lo stregone del clan, l'uomo della medicina, colui che, attraverso erbe e riti propiziatori, poteva salvare il clan da malattie e tragedie. Era una persona a cui veniva riconosciuto un ruolo molto particolare, quasi un potere, lo stesso che noi oggi riconosciamo all'artista. Teorie più recenti immaginano che quel ruolo fosse di una donna, perché era lei a rimanere all'accampamento ad occuparsi dei figli, mentre l'uomo, fisicamente più forte, si occupava di cacciare.

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Ma l'arte come si pone nei confronti del linguaggio? Ancora oggi la nostra società riconosce alla figura dell'artista un particolare ruolo salvifico, catartico.

È sempre stato così? Non proprio. Se analizziamo la nostra storia ricordiamo i nomi degli antichi scultori greci: Policleto, Mirone, Prassitele, Fidia. Dei pittori è conservato pochissimo. Apelle ci viene descritto da Plinio quasi come una leggenda, ma delle sue opere c'è rimasto solo un lontano ricordo. Sono rimaste le opere dei ceramisti, come: Exechia, Clizia, Ergotimo, Eufronio, ecc… È quasi un paradosso perché gli scultori probabilmente erano i meno importanti fra gli artisti greci. Platone aveva indicato una distinzione fra le arti più nobili e quelle più basse in base al loro rapporto con la materia. La scultura, di cui noi ammiriamo tanti bellissimi esempi, era considerata dal grande filosofo come l'arte più bassa, perché inevitabilmente legata alla pietra, per lavorare la quale l'artista deve faticare, sudare, sporcarsi. Poi viene la pittura, necessariamente collegata alla sostanza materiale, quella pittorica, ma già più libera, perché della fisicità crea solo un'illusione bidimensionale, più o meno realistica. La musica è costituita da suoni che si liberano leggeri nell'aria, ma è sempre uno strumento concreto che la deve generare. Nella posizione più alta, per Platone, vi è la filosofia: puro pensiero. Essa non necessita neppure della scrittura per essere trasmessa, visto che la forma orale non diviene documento, Storia, ma permette di modificare continuamente il pensiero, mutarlo, adattarlo, evolverlo.

Molto più tardi, nel periodo medievale, l'artista veniva considerato poco più che un bravo artigiano specializzato. Pochi i nomi rimasti, più che altro quando i secoli si avvicinano a noi permettendoci di avere maggiore documentazione: Wiligelmo a Modena, Vuolvinio a Milano, Antelami a Parma e pochi altri. Con lo sviluppo dei commerci l'arte si riappropria del suo valore estetico ed economico ed ecco che i nomi tornano a farsi ricordare: Giotto, Cimabue, Simone Martini, Andrea Pisano, ecc.

Solo con il Rinascimento l'artista riconquista lentamente un'autonomia intellettuale e creativa. Alla creazione di un'opera d'arte concorreranno varie figure: il committente; le arti o corporazioni, che solitamente finanziavano l'opera; l'artista che la realizzava e l'iconografo (un intellettuale, spesso appartenente al clero più colto, che indicava temi e simboli su cui strutturare il racconto pittorico, scultoreo o architettonico). Più agli artisti veniva riconosciuto un ruolo intellettuale, più essi diventavano iconografi delle loro opere, registi del loro stesso immaginario. Dalle prime innovazioni di Masaccio e Donatello, fino alle grandi figure di Michelangelo e Leonardo alla fine del secolo, che si poterono permettere (non senza qualche contrasto e polemica) di rappresentare temi della tradizione cristiana attraverso un'interpretazione molto personale. Nella sua ultima cena, ad esempio, Leonardo non dipinse il momento tradizionale in cui Cristo, figlio di Dio, spezza il pane simbolo dell’eucarestia. Piuttosto l’artista sceglielse una situazione più intima e umana: quando Gesù confida ai suoi amici più cari (gli apostoli) che uno di loro di lì a poco lo avrebbe tradito. Leonardo vuole raccontare di Gesù la parte più umana, fragile e bisognosa di conforto. Su quella parete paradossalmente, nel momento in cui Gesù ha bisogno della vicinanza dei suoi amici (perché sa cosa gli sta per accadere e ne ha paura), questi, senza rendersene conto, lo abbandonano. Non capendo ciò che il loro maestro gli sta confidando, si allontanano da lui raggruppandosi in gruppi di tre, parlottando, confabulando, chiacchierando. E lo lasciano solo.

ultima cena

Articolo di Marco Feo

 

 

Impressionismo

Alla fine dell'ottocento un gruppo di amici decise di esporre le loro opere organizzando una mostra, al di fuori dei circuiti istituzionali dell'Arte (come i Salon e l'Accademia di Belle Arti), allestendo la mostra in uno studio sfitto di un fotografo parigino. L'iniziativa darà vita al gruppo degli Impressionisti.Gli Impressionisti oggi sono considerati dalla critica e dagli studiosi della Storia dell'Arte come uno dei movimenti più rivoluzionari del XIX secolo. Un movimento capace di sovvertire il sistema di pensiero storico e critico che stava alla base della società occidentale. Ma cosa portò a tale trasformazione? Quali innovazioni tecniche e artistiche si erano sviluppate durante l'ottocento per permettere la nascita di una rivoluzione, seppur fatta di tele, colori e pennelli, così dirompente?

logo lezioni storia arte

Fotografia

La fotografia nacque ufficialmente nel 1839 quando Daguerre1 presentò il frutto di anni di ricerche all'accademia delle Scienze delle Arti di Parigi: il così detto dagherrotipo. Già da una decina d'anni il chimico e artista francese stava sperimentando un metodo per sfruttare la fotosensibilità di alcune sostanze chimiche e fissare su un supporto l'immagine ricreata nella camera oscura.

1 dagherrotipo

Il fenomeno della camera oscura viene citato da Aristotele nel IV secolo a.C.2. L'arabo Alhazen riprenderà gli studi sui raggi luminosi e sulla teoria della visione nell'XI secolo. Le sue teorie arrivarono in occidente grazie alla traduzione del monaco Vitellione3 nell'opera Opticae thesaurus Alhazeni arabis. Nel 1515 Leonardo da Vinci4, proprio partendo dagli studi di Alhazen, descrisse, nel Codice Atlantico, l'esperimento della camera oscura. Le camere oscure verranno più volte utilizzate durante i secoli successivi da vari pittori, per risolvere problemi di prospettiva. Ad esempio dai vedutisti nel '700: Bellotto e Canaletto (la cui camera oscura originale si trova attualmente al Museo Correr di Venezia) con la “camera ottica”, uno strumento che permetteva di riportare velocemente il disegno di un paesaggio o più genericamente di una “veduta” su un foglio o su di una tela, sulla quale intervenivano in seguito dipingendo in maniera tradizionale.

2 camera ottica

Vi sono teorie che ipotizzano che lo stesso Caravaggio5 utilizzasse sistemi simili per poter trasferire sulla tela l'immagine dei modelli che aveva posizionato all'interno dello studio oscurato. Ravvivando con fiaccole o lampade i soggetti e facendo riflettere l'immagine sulla tela, ne ricalcava i contorni con un colore fosforescente (in modo da poterlo vedere al buio). Quindi, riportando la luce nell'ambiente, dipingeva attraverso la sua tecnica molto realistica ed enfatica.

I dagherrotipi inventati da Daguerre sono degli esemplari unici non riproducibili in multipli. Il sistema sperimentato dallo studioso francese non prevede infatti che si possano fare delle copie del supporto finale. Sarà l'inglese William Henry Fox Talbot6 nel 1841 a brevettare un sistema per replicare più copie della stessa immagine utilizzando un negativo sul vetro.

Nel giro di pochi decenni l'innovazione tecnologica della fotografia cambierà l'immaginario della cultura occidentale, arrivando ad influenzare fortemente il pensiero, non solo in campo artistico ma anche da un punto di vista sociale, economico e politico. L'uomo dell'ottocento assume una maggior consapevolezza nei confronti di ciò che lo circonda, adotta uno sguardo diverso, nuovo.

La fotografia inizialmente si deve sviluppare tecnicamente, ma in pochi anni il costo di una stampa fotografica è alla portata di tutti (o quasi). Se inizialmente la fotografia copia gli stilemi della pittura, emulandone gli stessi schemi compositivi e strutturali, si rende ben presto conto che è un linguaggio completamente diverso, con peculiarità proprie. I nuovi fotografi hanno un mondo da inventare, un potente sistema espressivo a loro disposizione con cui percorrere nuove strade artistiche. Il fotografo può scegliere inquadrature assolutamente bizzarre, inedite (il così detto “taglio fotografico”) scardinando gli schemi compositivi su cui si era basata per secoli la pittura occidentale. Il mezzo fotografico permette di avvicinare e catturare con precisione, velocità e fedeltà la realtà delle cose: lo sguardo di un bambino, il gesto spensierato di un passante, la posa involontaria di una ragazza, il momento preciso in cui accade un incidente, un fatto di cronaca nera, un documento storico, un avvenimento politico... Ma è soprattutto nei suoi mezzi tecnici che si nasconde l'alfabeto della fotografia: il tempo dello scatto e la luce che entra nel corpo della macchina (la camera oscura dove si può letteralmente disegnare con la luce: photo-grafia).

L'utilizzo della fotografia è fondamentale per impressionisti sia come documentazione, sia come spinta emotiva per poter effettuare la loro ricerca artistica, sia come componente dell'immaginario della pittura.

3 macchina fotografica

 

Il realismo

Intorno alla metà dell'800 gli stati europei sono scossi dai moti rivoluzionari. Le contestazioni del 1848 permetteranno nuove conquiste sociali e la genesi di nuove nazioni. Anche l'Italia è caratterizzata da un movimento d'indipendenza nazionale, ma vi giungerà con qualche anno di ritardo rispetto al resto d'Europa. Sempre nel 1848 Marx7 ed Engels8 pubblicano il “Manifesto del Partito Comunista”, mentre nel 1867 vedrà la luce il primo volume del Capitale. La lettura filosofica, sociale e politica di Marx ed Engels si basa su presupposti e strumenti di analisi completamente diversi rispetto ai canoni precedenti, molto più attenti ai fenomeni economici e strutturali della popolazione9In questi decenni il metodo scientifico e la dottrina del positivismo, caratterizzano e spingono il progresso tecnologico e lo sviluppo industriale della società. Se la nascita della fotografia può essere collocata idealmente nel 1839, la fine del IX secolo vedrà la nascita di altri due innovativi ed accattivanti linguaggi che catalizzeranno sempre più l'attenzione verso la narrazione quotidiana. Nello stesso anno, ovvero il 1895, nasce il cinema per opera dei fratelli Lumière10 e la diffusione sui quotidiani dei primi fumetti, riconoscendone la primogenitura al personaggio di Yellow Kid11 creato da Richard Felton Outcault12 per il supplemento domenicale del New York World.

4 Yellow kid

Gustave Courbet

Per il mondo artistico, ed in particolare per la pittura, è fondamentale la testimonianza di Gustave Courbet. Il pittore francese riesce a scardinare il sistema stereotipato del mercato d'arte e delle istituzioni culturali, rappresentato dall'accademia e dai salon, prima di tutto scegliendo come soggetto dei suoi dipinti temi tratti dalla quotidianità, soggetti di una banale e proprio per questo dissacrante semplicità: umili lavoratori come gli “Spaccapietre”, situazioni della vita di tutti i giorni come un funerale nel cimitero del suo villaggio (Ornans) o il dopocena trascorso assieme al fratello e al padre, accanto al tavolo della cucina ancora ingombro della tovaglia e dei resti della cena. Poi, nel 1865, organizza un'esposizione parallela e in forte contrasto con quella del salon ufficiale gestito dall'Accademia, il cosiddetto “Padiglione del realismo” all'interno del quale possono esporre artisti, come lo stesso Courbet, che non sono stati selezionati ed accettati dalla critica accademica. L'esperienza è fondamentale perché aprirà nuovi mercati e nuove modalità di presentazione delle opere d'arte, in un mondo che fino a quel momento era rimasto estremamente conservatore. Il Padiglione del realismo fu anticipato nel 1863 dal Salon des Refusés voluto dallo stesso Napoleone III. In quell'anno la giuria di ammissione dell'Accademia parigina rifiutò di esporre una notevole quantità di dipinti (circa 3000, secondo le fonti). A seguito di numerose proteste, l'Imperatore organizzò un'esposizione parallela a quella ufficiale, consentendo ad artisti come Édouard Manet con il suo “Le déjeuner sur l'herbe” (la principale causa dello scandalo), Claude Monet, Camille Pissarro, James Whistler e altri di esporre le loro opere. La frequentatissima esposizione divenne però anche oggetto di critiche e persino di derisione. Le opere esposte venivano infatti denigrate non solo dalla critica ufficiale, ma anche dal pubblico parigino stesso. Il Salon des Refusés ebbe il merito di consentire una prima apertura verso l'arte "non ufficiale" e tradizionalista, ma anche lo svantaggio di esporre i giovani artisti al pubblico ludibrio. Al nuovo Salon parteciparono anche artisti come Degas (anche se si definiva realista) e Renoir.

5 Courbet Spaccapietre

Gustave Courbet, 1849, olio su tela, 165×257 cm, opera distrutta durante i bombardamenti di Dresda (1945).

La scuola di Barbizon

In questo contesto di forti cambiamenti fondamentale risulta l'esperienza degli artisti appartenenti alla cosiddetta scuola di Barbizon, un movimento di borghesi intellettuali parigini che, in assoluta controtendenza rispetto ai dettami accademici, decidono di trasferirsi a vivere per alcuni mesi nel villaggio contadino di Barbizon, ai confini della foresta di Fontainebleau, per dipingere pittura di paesaggio. Li caratterizza un sentimento nostalgico per la natura, vogliono ritrovare quei valori primordiali, autentici e genuini, basati sul rapporto uomo-natura che l'industrializzazione aveva cancellato irrimediabilmente dal cuore delle società contemporanea. La loro poetica riprende gli ultimi barlumi della passione romantica conducendola verso un atteggiamento sincero e diretto nei confronti della realtà quotidiana, autentica soprattutto se ci si pone con umiltà di fronte alle infinite suggestioni offerte dal creato. I pittori della scuola di Barbizon vogliono cogliere i fenomeni atmosferici, sentire sulla loro pelle i vari mutamenti del clima, respirare l'aria pura, riscoprire il sentimento della natura e si rendono conto che l'unico modo per poterlo fare è vivere a contatto con questa. Non dipingono ancora “en plein air”, ovvero all'aria aperta, ma passano la maggior parte delle ore della loro giornata a prendere appunti, bozzetti e schizzi direttamente alla luce del sole, di fronte e a stretto contatto con i soggetti naturali. Tra gli esponenti del gruppo ricordiamo Pierre-Etienne Théodore Rousseau, Jules Dupré, Narcisse Diaz, Costant Troyon, Francois Millet, Charles Daubigny, Camille Corot. L'esperienza della scuola di Barbizon sarà fondamentale per la nascita degli Impressionisti.

Gli impressionisti

Siamo all'inizio degli anni '70. A Parigi si vive un momento particolarmente felice e frizzante da un punto di vista culturale: la così detta Belle Époque13.

Gli studi scientifici sulla percezione

Nella seconda metà dell'800 il progresso scientifico ha affiancato anche il mondo dell'arte effettuando approfonditi studi sulla percezione, conferendo una nuova intenzionalità alla pittura. Risultano fondamentali gli studi di Chevreul14, Maxwell15 e Ogden Rood16 che sono alla base della ricerca pittorica dell'impressionismo prima e successivamente del neoimpressionismo.

Michel-Eugène Chevreul è un chimico che svolge la sua attività nelle manifatturiere Gobelins, una ditta che produce tessuti e arazzi. Lavorando per la sua azienda si appassiona sempre più agli studi di “cromatica” (oggi chiamata più correttamente “cromatologia”, ovvero scienza che studia i colori). Chevreul analizza un fenomeno che in precedenza avevano già indagato, anche se in maniera più pragmatica, sia Constable che Delacroix. Il chimico capisce che basta accostare due macchie di colore una vicino all'altra, per poter generare, quando viste da lontano, un terzo colore. Le due tinte si influenzano ricreando otticamente un nuovo colore che nasce dalla loro fusione. Il fenomeno ottico viene sfruttato da Chevreul per ottimizzare la produzione industriale: basta utilizzare fili di lana di due colori differenti, ad esempio uno di lana gialla e uno di lana blu, che intrecciati insieme consentiranno di produrre un tessuto di un terzo colore (il verde in questo caso) senza però dover mettere in produzione un terzo colore vero e proprio.

Chevreul porterà avanti le proprie osservazioni sui colori: il “contrasto simultaneo” collegato alla luminosità dei colori accostati (che raggiunge la sua massima ampiezza con i colori complementari); la definizione del cerchio cromatico, disponendo i colori principali in uno schema geometrico che permette di analizzarli con più attenzione; la definizione di termini che ci permettono di indicare con più precisione le caratteristiche e le peculiarità del colore. Questi termini sono: tinta, indica il colore esatto che si trova sul cerchio cromatico; saturazione, è la caratteristica di una delle tinte che non contiene al suo interno nessuna percentuale né di bianco né di nero (quando una tinta è satura, raggiunge la sua massima forza espressiva ed è caratterizzata da peculiarità specifiche); il tono, una tinta mischiata con una percentuale di bianco o di nero. Un'ulteriore schematizzazione dei colori è la sfera dei colori. In essa il bianco viene collocato nella parte più alta (il polo nord), mentre il nero nella parte più bassa (il polo sud). Quando una tinta, che sta idealmente all'equatore, si mischia ad esempio con il bianco si forma un tono derivato dalla tinta di partenza. Infine la luminosità è una caratteristica intrinseca delle tinte: esistono tinte che sono più luminose (in particolare la più luminosa di tutte è il giallo); esistono tinte che sono meno luminose (in particolare la meno luminosa di tutte è il viola che è il complementare del giallo, ovvero si trova nella posizione opposta del cerchio cromatico).


7 cerchio cromatico itten

Il cerchio cromatico di Itten.

 8 sfera cromatica itten

Sfera cromatica

9 sfera cromatica itten2

Sfera cromatica

 Ogden Rood

Il fisico Ogden Rood sviluppò ulteriormente lo studio del colore. Rood classificò il colore in due grandi insiemi:

  • il “colore come materia” ovvero tutto ciò che riguarda gli oggetti e quindi anche l'impasto pittorico;

  • il “colore come luce” ovvero la radiazione luminosa.

    Il nostro occhio percepisce una parte dello spettro elettromagnetico. La luce bianca del sole è considerata la radiazione più pura. Gli oggetti quando vengono illuminati assorbono parte delle radiazioni luminose e ne riflettono altre. Il nostro occhio percepisce le radiazioni che la materia non assorbe quindi, paradossalmente potremmo affermare che un oggetto è caratterizzato da tutte le radiazioni colorate tranne quella che noi vediamo. E' un gioco linguistico ma quando noi diciamo che un oggetto è rosso in realtà quell'oggetto trattiene tutte le radiazioni tranne quelle del rosso. Questi colori, cioè quelli che caratterizzano la materia degli oggetti, e quindi anche i pigmenti stesi dai pittori sulla tela, sono quelli che Ogden Rood definisce come “colore come materia” e che oggi noi definiamo, con più precisione, come “sintesi sottrattiva” ovvero la materia sottrae parte delle radiazioni luminose alla luce bianca. I primari della sintesi sottrattiva sono: il giallo (Y - Yellow), il ciano (C - Cyan) e il magenta (M - magenta). Possiamo trovare questa sigla ad esempio sulla stampante a getto d'inchiostro a indicare i serbatoi separati degli inchiostri giallo, ciano e magenta a cui solitamente viene aggiunto il nero per avere un una tinta più piena e netta. Il nero potrebbero essere ugualmente ottenuto mischiando i tre primari.

    Nel caso invece del “colore come luce” Rood indica le radiazione luminose. Come dimostrò in precedenza Newton17 quando un fascio di luce bianca passa attraverso un prisma si divide nelle componenti visibili dello spettro elettromagnetico. Sono radiazioni luminose: lo schermo della televisione, del computer o del cellulare, oppure le luci che si utilizzano a teatro o nella sala cinematografica. In questo caso si parla di “sintesi additiva” i cui primari sono il rosso (R - Red), il verde (G - Green) e il blu (B - Blue). Le tre lettere iniziali RGB indicano i LED degli schermi luminosi che spesso, per lavoro, svago o per studio, osserviamo molte ore della nostra giornata.

10 newton prisma luce

Il prisma di luce di Newton

L'ambiente degli Impressionisti

I componenti del gruppo degli Impressionisti sono giovani pittori che frequentano gli stessi ambienti parigini, gli stessi locali, le stesse scuole. Un gruppo di amici che condividono interessi e ricerche artistiche: gli studi che la scienza sta svolgendo su quanto riguarda il nostro campo visivo; i cambiamenti che la fotografia sta portando rispetto all'immaginario della società; un nuovo modo di guardare e considerare la realtà in cui vive l'uomo.

Gli artisti dell'impressionismo partono dalla considerazione che la nostra percezione avviene in due momenti distinti: prima a livello dell'occhio che è l'organo sensoriale che ci permette di percepire la luce e che funziona in maniera molto simile a quanto accade nella camera oscura, ovvero nella macchina fotografica (un fascio di luce entra attraverso la pupilla, esattamente come entra attraverso l'obiettivo di una macchina fotografica; colpisce la retina, esattamente come colpisce una pellicola sensibile; sulla retina si trovano delle cellule fotorecettori (i coni reagiscono ai diversi colori e i bastoncelli ci permettono di percepire le differenti sfumature di grigio, cioè le gradazioni di chiaroscuro). Queste informazioni vengono inviate, attraverso il nervo ottico, al cervello dove sono rielaborate in maniera complessa attraverso una serie di componenti esperienziali e dove avviene il secondo livello della nostra percezione, molto più complesso e profondo (i primi studi avvengono grazie alla psicanalisi di Freud18 a partire dal nuovo secolo).

Il rapporto con la fotografia

Gli artisti dell'impressionismo vogliono fare una pittura che si avvicini molto alla fotografia, non per cercare un realismo e un dettaglio fotografico (sarebbe un'inutile scimmiottatura di una tecnica e di un linguaggio differenti). La fotografia aveva messo in crisi il sistema dell'arte, la motivazione stessa dell'esistenza della pittura. Questa nuova tecnica aveva permesso di rappresentare la realtà in maniera veloce, fedele, precisa e sicuramente più economica, permettendo di portare un'immagine nelle case di quasi tutte le persone della della società. La pittura, che fino a quel momento aveva avuto il compito di rappresentare la realtà, veniva questo punto sostituita dalla fotografia: più economica, veloce e precisa. La pittura non aveva più motivo di esistere, a meno che la sua ragione di esistenza si trovasse in altro che non fosse esclusivamente la rappresentazione della realtà. Gli Impressionisti cercano di porsi nei confronti della realtà esterna esattamente come fa la fotografia, in maniera diretta ed oggettiva, utilizzando però gli strumenti che sono propri della pittura: la tela e i colori. Eliminano qualsiasi interesse per il tema: il paesaggio è semplicemente uno strumento e un'occasione per fare pittura.

La luce e la pittura “en plein air”

Come già si era reso conto Delacroix19 nel 1832 quando, in occasione di un viaggio in Marocco, era stato colpito dalla forza e della vivacità dei colori di questi paesi in cui il sole era più forte e splendente, abbozzando quelle immagini nei suoi taccuini di viaggio, nello stesso modo gli Impressionisti si rendono conto che i colori più vivi e veri, più attinenti alla realtà, sono quelli degli oggetti esposti luce del sole. Sulla scorta fondamentale dell'esperienza della Scuola di Barbizon, decidono di andare a dipingere all'aria aperta: en plein air. Ma perché i pittori fino ad allora non lo avevano mai fatto? Vi erano delle motivazioni strettamente pratiche. Solitamente il pittore dipingeva in studio appoggiando la propria tela su un grosso, pesante e scomodo cavalletto. L'artista doveva prepararsi i colori, quasi tutti i giorni, mischiando il pigmento colorato (cioè delle polveri) con l'olio di lino (precedentemente con il rosso d'uovo nel caso della tempera). Era quindi estremamente scomodo potersi portare appresso tutto questo materiale. Alla fine dell'ottocento vengono introdotti sul mercato delle novità, estremamente semplici e banali, che permetteranno di effettuare con semplicità la pittura en plein air. Queste innovazioni sono:

  • il cavalletto portatile, un cavalletto leggero che poteva essere ripiegato in una valigetta di legno o in uno zaino da portare sulle spalle;

  • il pennello piatto, ovvero un pennello che, grazie ad una sottile lamina metallica, permetteva di raccogliere le setole in una forma particolare, ad esempio piatta (un pennello piatto permette di stendere il colore più velocemente e su una larga superficie;

  • il colore nel tubetto.

    Queste tre semplicissime invenzioni permetteranno gli artisti impressionisti di raccogliere gli strumenti del loro lavoro sulle spalle, di prendere il treno dal centro di Parigi e di spostarsi sulla riva della Senna o nelle campagne alla periferia della città, per andare a dipingere in mezzo ai campi, ovvero dove la luce del sole è più forte, i colori sono più saturi e più accesi. Il paesaggio è semplicemente un'occasione per fare pittura.

La pittura en plein air implica però delle difficoltà. Quando si dipinge in studio un soggetto, questo viene illuminato con una luce artificiale che può essere ricreata nei giorni e nei mesi successivi con estrema facilità e nello stesso identico modo, utilizzando lampade o torce. All'esterno la luce è estremamente mutevole: il sole si sposta durante le ore del giorno, la situazione atmosferica ne muta le caratteristiche. Ciò che gli Impressionisti si prefiggono è la cattura di un istante, la percezione di un momento che l'attimo seguente trasformerà in qualche cosa di diverso. Per poter cogliere un particolare effetto di luce o dei colori, bisogna effettuare una pittura estremamente veloce. Il tempo della pittura non può essere quello della fotografia, gli strumenti sono diversi. Il metodo pittorico tradizionale, effettuato attraverso velature successive, con lenti e controllati passaggi di stesura di pigmento trasparente, che permette la resa di un panneggio, di una sfumatura su un viso, di un incarnato o di rendere la superficie dei vari oggetti, non è adatto per dipingere all'esterno. Dopo secoli la pittura raffinata dei pittori rinascimentali, usata ancora nel Neoclassicismo e nel Romanticismo da David, Ingres e Hayez è troppo lenta e assolutamente inadatta allo scopo che gli Impressionisti si prefiggono di raggiungere. Bisogna inventare una nuova tecnica di pittura: una giustapposizione di pennellate veloci, tocchi, picchiettature, trattini, macchie che caratterizzerà il segno di ognuno degli Impressionisti, quasi fosse la loro specifica calligrafia, ma fondamentalmente identificando un'identica modalità operativa. Ispirandosi ai tonalisti, il colore denso, pastoso e materico viene portato direttamente sulla tela grazie al pennello piatto (più tardi avvalendosi anche della spatola) senza dover fare moltissimi passaggi, per cogliere il più velocemente possibile il risultato finale. Ne deriva una pittura caratterizzata da macchie, estremamente materica, che stratifica il pigmento, sulla superficie della tela, in grumi conferendo alla percezione anche un senso tattile molto forte e d'impatto.

Alcuni temi sono prediletti rispetto ad altri per esempio le superfici d'acqua, le rive della Senna, spesso presenti nei quadri degli Impressionisti: sulla superficie dell'acqua si rispecchiano oggetti, case, alberi, persone che sono sulla riva, la cui immagine si suddivide in tante piccole macchie, esattamente come sulle tele degli Impressionisti.


6 regate ad argentuil

Claude Monet, Regate ad Argenteuil, 1872, olio su tela, 48×75 cm, Musée d'Orsay, Parigi.

 

Il colore locale

Molti elementi della pittura tradizionale vengono aboliti dalle innovazioni degli Impressionisti. Aboliscono il colore locale, argomento già studiato in precedenza da Constable20. Non esiste cioè un colore specifico per ogni oggetto, ma la superficie di un materiale si ottiene accostando colori puri (come aveva dimostrato Chevreul nei suoi studi sulla cromatologia).

Eliminano il disegno

Non esiste il disegno in natura. Nella realtà che ci circonda non esistono linee che circondano le forme che noi vediamo, come invece nella pittura tradizionale si era soliti fare. Se la pittura si pone l'obiettivo di rappresentare in maniera fedele la realtà, bisogna eliminare tutto ciò che è frutto di un'elaborazione intellettuale. Di conseguenza viene eliminata anche la prospettiva, elaborazione nata nel Rinascimento grazie ai primi studi di Brunelleschi, perfezionata da artisti come Paolo Uccello, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e molti altri. Artisti che avevano codificato un metodo di disegno geometrico che permettesse loro di rappresentare la realtà con estrema veridicità, ma assolutamente consapevoli che la loro invenzione era qualche cosa di assolutamente falso, una creazione intellettuale appunto, non la reale ed esatta trasposizione della realtà.

L'abolizione del disegno da parte dei pittori Impressionisti comporterà profonde problematiche e sarà uno dei motivi per cui il gruppo si scioglierà. Il disegno non è semplicemente il contorno che noi assegniamo intuitivamente agli oggetti, esso evidenzia un'elaborazione mentale presente in tutti noi (ancora prima degli artisti rinascimentali, dalle più antiche tracce di forme espressive lasciate dagli uomini primitivi che avevano dipinto per decine di migliaia di anni sulle pareti delle grotte, come ci dimostrano gli splendidi esempi di Lascaux21 e di Altamira22: forme essenziali e stilizzate ma estremamente espressive grazie alle potenzialità del disegno). I bambini di tutto il mondo, indipendentemente dalla cultura e dalla nazionalità, disegnano. E' qualche cosa che ci appartiene anche se non è presente fisicamente nella realtà che ci circonda, fa parte del nostro modo di vedere e di percepire, è una creazione della nostra mente. Il disegno influenza il modo con cui noi guardiamo le immagini, ci aiuta a percepire la profondità, la tridimensionalità, conferisce equilibrio alle immagini che noi osserviamo.

La xilografia23 giapponese

Una delle più importanti sfide che si prefiggono gli artisti dell'impressionismo è di trovare qualcosa che risolva i problemi dovuti all'eliminazione del disegno. Troveranno una risposta a questo problema nella pittura giapponese e in particolare nelle xilografia di cui alcuni esempi vengono importati proprio in quegli anni dal lontano oriente24. Che cosa aveva attratto l'attenzione di questi artisti in una tecnica e in una soluzione grafica così lontana dalla loro pittura ad olio? Essi erano stati colpiti dalla capacità di gestire i pesi, i pieni e vuoti, i bianchi e neri nelle incisioni di Hokusai25 e di altri grandi incisori del lontano oriente, semplicemente gestendo le forme e l'equilibrio nello spazio del foglio.

10 Katsushika Hokusai

Eliminano il bianco e il nero

Gli Impressionisti non utilizzano più il bianco e il nero per schiarire o scurire le tinte. Nella tradizione pittorica il bianco e il nero venivano utilizzati proprio per ottenere gli effetti chiaroscurali, rendere la tridimensionalità dei soggetti, con l'inconveniente di smorzare la saturazione e la forza del colore. Gli Impressionisti si prefiggono l'obiettivo di catturare il colore e la luce nella sua massima intensità, devono limitare tutto ciò che va in una direzione contraria. Il bianco e il nero verranno utilizzati se devono essere dipinti degli oggetti che hanno quel colore specifico: bianca è la neve, nero è il carbone, per fare due esempi banali ma non per schiarire o scurire, non per creare ombre o zone di luce.

Il tema è non è importante

Perché consideriamo così importante e rivoluzionaria l'arte impressionista? Perché oggi li consideriamo uno dei movimenti più importanti e fondamentali per la nascita dell'arte che caratterizzerà il secolo successivo? La trasformazione più importante che introducono nelle loro opere gli Impressionisti sta nel fatto che per loro il tema è assolutamente secondario. Ciò che per l'accademia era fino a quel momento il motivo principale per attribuire un giudizio di valore ad un'opera d'arte (il tema doveva essere storico, religioso, mitologico per poter dare un valore, e di conseguenza anche una ricaduta economica e commerciale, ad un'opera d'arte, trasponendo il valore estetico verso altri significati), viene escluso per la prima volta dagli impressionisti. “Il giudizio estetico è scevro di interesse“ diceva Benedetto Croce26. Il giudizio estetico ed artistico deve basarsi su caratteristiche peculiari: i valori formali. La bellezza del quadro è esattamente la stessa bellezza che noi possiamo provare di fronte a un tramonto, a un paesaggio naturale, o ascoltando un brano musicale, non dipende da altre componenti che gli sono estranee.

La stessa decorazione, che fino a quel momento era sempre stata considerata come qualche cosa di superfluo, aggiuntivo, acquista ora maggior importanza proprio perché collegata al valore della bellezza, anche nella nostra vita quotidiana.

La prima mostra degli Impressionisti

Il 15 aprile del 1874 viene inaugurata la prima mostra degli Impressionisti, che espongono con il nome di “Société anonyme des artistes peintres, sculpteurs, graveurs”. Alla prima esposizione partecipano: Claude Monet, Edgar Degas, Paul Cézanne, Camille Pissarro, Pier-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Berthe Morisot. Sono giovani artisti, tutti esclusi dai salon. Per organizzare l'esposizione il gruppo affitta le stanze dello studio fotografico di Felix Nadar che da poco ha trasloccato.

Tra il pubblico che visita la mostra vi è anche il critico Louis Leroy che scrive di arte sul giornale Le charivari. Commentando i quadri esposti Leroy farà una critica fortemente negativa e in particolare prendendo spunto dal titolo di uno dei quadri di Claude Monet, ovvero “Impressione, levar del sole27”, definisce le tele non dei paesaggi ma al massimo l'impressione di un paesaggio. Ispirandosi a questa critica negativa il gruppo di giovani pittori sceglierà il nome di Impressionisti.

Le mostre degli Impressionisti sono otto e vanno dalla prima del 1874 all'ultima nel 1886. In seguito ognuno di loro continuerà la propria ricerca artistica e pittorica, seguendo strade diverse.


Note:

1Louis-Jacques-Mandé Daguerre (Cormeilles-en-Parisis, 18 novembre 1787 - Bry-sur-Marne, 10 luglio 1851).

2«conservare la configurazione del sole e della luna, guardati attraverso un foro di qualunque forma»

3Forma italiana del nome del matematico e fisico polacco Witelo (sec. XIII). Studiò a Parigi e a Padova. È famoso per il suo trattato di ottica, Perspectiva, più volte stampato nel Cinquecento, che riporta con pochi contributi originali gli studi di Alhazen.

4Leonardo di ser Piero da Vinci (Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519).

5Caravaggio, pseudonimo di Michelangelo Merisi (Milano, 29 settembre 1571 - Porto Ercole, 18 luglio 1610).

6William Henry Fox Talbot (Melbury, Dorset, 11 febbraio 1800 - Lacock Abbey, Wiltshire, 17 settembre 1877).

7Karl Heinrich Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883).

8Friedrich Engels (Barmen, 28 novembre 1820 – Londra, 5 agosto 1895).

9Sono i teorici del “socialismo scientifico” e del “materialismo dialettico”.

10I fratelli Auguste Marie Louis Nicolas Lumière (Besançon, 19 ottobre 1862 – Lione, 10 aprile 1954) e Louis Jean Lumière (Besançon, 5 ottobre 1864 – Bandol, 6 giugno 1948).

11Yellow Kid (soprannome del personaggio Mickey Dugan) è il protagonista della serie di strisce a fumetti "At the Circus in Hogan's Alley" scritta e disegnata da Richard Felton Outcault e pubblicata per la prima volta in bianco e nero nel giugno del 1894 sulla rivista Truth e successivamente, a partire dal 5 maggio 1896, a colori sul supplemento domenicale del New York World di Joseph Pulitzer. Inizialmente i personaggi si esprimevano attraverso frasi scritte all'interno di cartelli, mentre il protagonista aveva i dialoghi scritti sul suo lungo camicione. I primi balloons appaiono sulla tavola datata 10 novembre 1895 (a parlare sono un pappagallo e un bambino che vende fotografie). A partire dal 25 ottobre 1896 Outcault passò a realizzare la serie sull'American Humourist, supplemento domenicale a colori del New York Journal di William Randolph Hearst, principale concorrente del World. Proprio in questa data viene pubblicata la prima tavola dal titolo "The Yellow Kid and his new phonograph" in cui anche Yellow Kid si esprimerà attraverso un balloon. Il New York World continuerà anch'esso a pubblicare le storie del personaggio affidandolo al disegnatore George Luks. Entrambe le serie parallele terminarono nel 1898. Il grande successo popolare riscontrato da Yellow Kid ha dato origine alla moderna industria del fumetto.

12Richard Felton Junior Outcault (14 gennaio 1863 – 25 settembre 1928).

13Col nome di Belle Époque si indica il periodo storico, socio-culturale e artistico europeo che va dall'ultimo ventennio dell'Ottocento all'inizio della Prima guerra mondiale.

14Michel Eugène Chevreul (Angers, 31 agosto 1786 – Parigi, 9 aprile 1889).

15James Clerk Maxwell (Edimburgo, 13 giugno 1831 – Cambridge, 5 novembre 1879).

16Odgen Nicholas Rood (Danbury, Connecticut, 3 febbraio 1831 – Manhattan, 12 novembre 1902).

17Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 25 dicembre 1642 – Londra, 20 marzo 1726).

18Sigismund Schlomo Freud, noto come Sigmund Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939).

19Ferdinand Victor Eugène Delacroix, più semplicemente noto come Eugène Delacroix (Charenton-Saint-Maurice, 26 aprile 1798 – Parigi, 13 agosto 1863).

20John Constable (East Bergholt, 11 giugno 1776 – Londra, 31 marzo 1837).

21LASCAUX - Località della Francia meridionale nella valle del fiume Vézère in Dordogna, nota per una grotta, detta "la cappella Sistina della Preistoria".

22La grotta di Altamira è una caverna spagnola famosa per le pitture parietali del Paleolitico superiore raffiguranti mammiferi selvatici e mani umane. Si trova nei pressi di Santillana del Mar in Cantabria, 30 chilometri ad ovest di Santander, nel nord della Spagna. È stata inclusa tra i Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1985. Nel 2008 il nome del patrimonio è stato modificato da "Grotta di Altamira" in "Grotta di Altamira e arte rupestre paleolitica della Spagna settentrionale" in seguito all'aggiunta di 17 altre grotte.

23La xilografia, o silografia, è una tecnica d'incisione in rilievo in cui si asportano dalla parte superiore di una tavoletta di legno le parti non costituenti il disegno. Legni incisi per le stoffe esistevano già in Egitto, adottate dai Copti nel V e VI secolo d.C. La tecnica è di origine cinese e le prime stampe su carta risalgono all'VIII secolo d.C. L'incisione ebbe poi grandissimo sviluppo con l'invenzione e la diffusione della carta. In Europa fin dal XIV secolo si producono le prime xilografie.

24La metà del XIX secolo vede, infatti, la fine dell’isolamento medioevale del Giappone determinato dalla politica denominata sakoku: nel 1864, la flotta statunitense minaccia di aprire il fuoco dei cannoni nella baia di Tokyo, obbligando il paese ad aprire le frontiere e i porti agli scambi commerciali. Le preziose porcellane e il tè stivato nelle navi proveniente dal Giappone venivano protetti e imballati con le prove malriuscite delle stampe della scuola pittorica giapponese Ukiyo-e – termine tradotto con immagini del mondo fluttuante – e alcune di loro finirono nelle mani di artisti europei che ne rimasero affascinati.

25Katsushika Hokusai (Edo, ottobre o novembre 1760 – Edo, 10 maggio 1849).

26Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952).

27Claude Monet, "Impressione, levar del sole", 1872, olio su tela, 48×63 cm, Musée Marmottan Monet, Parigi.

 

Impressionismo: Claude Monet

Claude Monet è stato uno dei più famosi autori del gruppo dell'Impressionismo. Fra tutti quello più attento e radicale (fino alla fine della sua vita) nella ricerca pittorica sulla luce. Le famose serie dei suoi dipinti, come quella dedicata ai pioppi, ai covoni o alla cattedrale di Ruouen, sono la dimostrazione evidente e più completa dell'abbandono da parte di questi pittori di un interesse verso il tema a favore di una ricerca autonoma e assoluta sulla realtà più profonda del linguaggio pittorico. In questo breve audio ne ripercorriamo la vita e la ricerca artistica.

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cattedrale rouen1

cattedrale rouen2

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covone grano

donne in giardino

La Grenouillère Monet

La Grenouillère Renoirpioppi

 

Impressionismo: Degas

Edgar Degas del gruppo dell'Impressionismo è l'artista che meno si radicalizza nella ricerca della luce e della pittura en plein air (all'aria aperta) e che invece rimane più attento alla ricerca di un segno e di un disegno nuovo. Ricerca che sperimenta nei suoi famosi quadri dedicati alle ballerine, alla toillette, alle corse dei cavalli. Soggetti mai in posa, mai costruiti, ma sempre colti dell'immediatezza del quotidiano, della realtà. Quel realismo fortemente introdotto in Arte con l'avvento della fotografia e con le opere dissacranti di Courbet.

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Leggi qui una scheda di approfondimento.

 assenzio

carrozza alle corse

cavalli

La lezione di danza

stiratrici

tinozza

Impressionismo: Pierre-Auguste Renoir

Pierre-Auguste Renoir ha umili origini: la madre un'operaia tessile, il padre un sarto. Eppure, dopo una lunga e sofferta gavetta, la pittura gli permetterà di ottenere un grande successo. E' questo un altro dei traguardi che l'Impressionismo ha permesso di raggiungere. La pittura si distacca sempre più dal mondo chiuso dell'accademia, dalle sue consuetudini, dai suoi stilemi, per aprire strade fino a pochi anni prima impensabili per i giovani artisti. Renoir, al pari di Monet, diventerà uno dei massimi rappresentanti del nuovo movimento artistico dell'Impressionismo.

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 Auguste Renoir colazione canottieri

Auguste Renoir moulin de la galette

Auguste Renoir ombrelli

 

 

 

 

 

 

Klimt Gustave

Gustave Klimt è stato uno dei massimi esponenti della Secessione viennese, movimento artistico che ha rivoluzionato e influenzati tutta l'arte del Novecento ed in particolare le Avanguardie artistiche. La Secessione viennese, nota anche come Wiener Sezession, implementò anche il progetto di un periodico-manifesto chiamato Ver Sacrum, con la pubblicazione di 96 numeri fino al 1903. Gli artisti della Secessione, desiderando superare i confini dell'arte accademica tradizionale, si impegnavano in un'ampia varietà di espressioni artistiche, compresi le arti plastiche, il design e l'architettura, con l'obiettivo di rinvigorire l'arte e i mestieri. Non esisteva uno stile preferito, quindi sotto l'egida di questo gruppo si riunirono simbolisti, naturalisti e modernisti. La Pallade Atena, divinità greca della saggezza e delle giuste cause, divenne il simbolo del movimento secessionista, e nel 1898 Klimt la rappresentò in uno dei suoi capolavori.

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Ascolta la lezione audio dedicata a Klimt

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Il fregio di Beethoven

klimt il bacio

Il bacio

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Paesaggio italiano

klimt Ritratto di Adele Bloch Bauer I

Ritratto di Adele Bloch-Bauer I

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Giuditta II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Danza Immortalata: Interpretazioni Pittoriche e Scultoree nel Mondo dell'Arte

La danza, con la sua grazia effimera e i movimenti che si svelano come una sinfonia corporea, è stata una fonte inesauribile di ispirazione per gli artisti attraverso i secoli. Dall'ardente passione del tango alle sfumature poetiche del balletto, pittori e scultori hanno cercato di immortalare il mistero della danza attraverso i loro pennelli e scalpelli, creando opere intrise di movimento, ritmo ed espressione. Sono moltissimi gli esempi che possono essere citati:

1. Edgar Degas: il balletto nella luce

Il celebre pittore impressionista Edgar Degas è rinomato per i suoi dipinti di ballerine, che catturano la grazia e la fragilità del mondo del balletto. Degas, un osservatore attento delle prove e delle esibizioni, riuscì a trasmettere l'effetto della luce sulle figure danzanti. Le sue opere, come "La Classe di Danza" e "Le Ballerine in rosa", sono esempi magistrali di come il pittore abbia catturato la plasticità dei movimenti e l'atmosfera sognante del palcoscenico.

degas classe di danza

2. Henri Matisse: danza della forma e del colore

Henri Matisse, noto per la sua ricerca per il colore e la forma, ha offerto un'interpretazione unica della danza attraverso opere come "La Danza" (in due versioni una conservata al MoMA di New York, la seconda all'Ermitage di San Pietroburgo). Matisse ha abbracciato la vitalità della danza, traducendo i movimenti fluidi dei ballerini in forme audaci e colori vibranti. Le sue opere sono esplosioni di gioia e energia, che catturano la vitalità e la bellezza della danza (e quindi dell'arte tutta) come espressione umana, scaturita dalla gioia di vivere.

matisse

3. Pablo Picasso: la distorsione creativa

Il genio creativo di Pablo Picasso ha influito su ogni forma d'arte, compresa la rappresentazione della danza. Sono moltissime le opere che potrebbero essere citate ad esempio, a partire dalle delebri "Les Demoiselles d'Avignon", capolavoro nel quale Picasso ha scomposto e distorto le figure delle ballerine, creando una rappresentazione sconvolgente della danza come espressione di forza primitiva e dirompente. La nostra analisi si sofferma però su un'altra opera, meno dirompente, ma ugualmente rappresentativa: "Le tre danzatrici" del 1925. La tela presenta la tipica scomposizione del corpo umano caratteristica del Cubismo sintetico, si distingue infatti per una maggiore libertà espressiva rispetto alle opere cubiste analitiche precedenti. La resa cubista è permeata da una forte carica emozionale, evidente nelle divergenze e nell'intrecciarsi delle linee, così come nelle campiture di colori dissonanti. Lo spazio è occupato da tre figure danzanti di colore rosa su uno sfondo con due rettangoli azzurri che sembrano finestre e pannelli decorati laterali. Le figure rappresentano un trio di ballerini, con particolari riferimenti alle relazioni personali di Picasso. Il ballerino a sinistra ha la testa piegata in modo innaturale, richiamando le maschere africane tanto amate dall'artista. Il ballerino a destra, poco visibile, sembra una figura maschile, mentre la figura centrale ha una gamba piegata e separa le due figure laterali che, nonostante ciò, si tengono per mano, suggerendo una connessione. Si ipotizza che l'opera alluda alla relazione amorosa tra i suoi amici Ramon Pichot, Germaine Gargallo (moglie di Ramon), e Carlos Casagemas. La figura centrale rappresenterebbe Casagemas, coinvolto nella tragica storia d'amore che ha portato alla morte di Pichot.

Stilisticamente, l'opera mostra l'influenza dell'Espressionismo e, in parte, del surrealismo emergente in quegli anni. Picasso utilizza questa creazione per commemorare la storia tragica dei suoi amici, evidenziando elementi allucinati e macabri, richiamando anche il suo periodo blu legato alla morte di Casagemas in passato.

picasso

4. Mondrian dall'ascetismo alla danza sfrenata

"Broadway Boogie-Woogie" è un dipinto di Mondrian realizzato durante gli ultimi anni della sua vita a New York (1940-1944). Il quadro presenta una moltitudine di quadrati di colori luminosi e brillanti, disposti senza reticoli neri rigidi, caratteristici dei suoi lavori precedenti. La disposizione dei quadrati senza linee nere crea un effetto mosaico che richiama il ritmo frenetico del Boogie-Woogie, trasmettendo un senso di vitalità e catturando l'atmosfera di Broadway. Queste opere rappresentano un radicale sviluppo nell'approccio astratto di Mondrian, con forme che sostituiscono il ruolo delle linee. I quadri della serie "Boogie-Woogie" rappresentano un cambiamento significativo rispetto all'austerità scientifica delle opere degli anni '20 e '30, riflettendo invece la musica ottimista e allegra che li ha ispirati e l'energia della città in cui sono stati prodotti.

Piet Mondrian 1942 Broadway Boogie Woogie


La danza, con la sua poesia in movimento, continua a ispirare e ad affascinare gli artisti di ogni epoca. Dalle ballerine di Degas ai corpi scolpiti di Rodin, ogni interpretazione artistica contribuisce a un dialogo senza fine sulla bellezza effimera della danza e sulla sua capacità di comunicare emozioni universali attraverso l'arte. La danza, immortalata su tela e plasmata nella pietra, rimane una testimonianza eterna della connessione tra l'arte e il movimento umano. In questi giorni ci sono due mostre in Italia che analizzano il tema della danza. Quella di Auguste Rodin a Milano e quella di Lorenzo Mattotti a Brescia.

Auguste Rodin: La danza incarnata nella scultura

Mentre i pittori si immergevano nei colori e nella luce, lo scultore Auguste Rodin ha plasmato la danza attraverso il freddo marmo e il caldo bronzo. La sua scultura "La Danse" incarna la fusione di corpi in movimento, catturando la sensualità e la potenza della danza. Le figure intrecciate e i corpi contorti raccontano una storia di connessione e armonia, sottolineando il modo in cui la danza può essere una forma di comunicazione non verbale.
La mostra al Mudec di Milano, dal 25 ottobre 2023 al 10 marzo 2024, e il relativo catalogo, realizzati in collaborazione con il Musée Rodin, esplorano la passione del celebre scultore francese per la danza, in particolare quella tradizionale cambogiana. Questa forma di danza divenne popolare in Europa tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo grazie alle tournées delle danzatrici khmer a Parigi. La mostra si concentra sul ciclo Mouvements de danse, composto da figurine in terracotta e disegni, realizzato da Rodin tra il 1902 e il 1913. Essa rivela il massimo raggiungimento di Rodin nel rappresentare il movimento del corpo e il ritmo che lo guida. Guardando al presente, si evidenzia come la coreografia della danza contemporanea trovi ispirazione nella lezione dell'artista francese. In tal modo, la lezione di Rodin crea un ponte tra l'Europa e le culture extraeuropee, unendo il XIX secolo al nuovo millennio, all'interno della contaminazione caratteristica delle più recenti sperimentazioni artistiche.

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"Lorenzo Mattotti - Storie, ritmi, movimenti"

La mostra "Storie, ritmi, movimenti", allestita a brescia presso il Museo di Santa Giulia (a cura di Melania Gazzotti) e visitabile dal 14 settembre 2023 al 28 gennaio 2024, presenta una vasta selezione di opere del fumettista e illustratore Lorenzo Mattotti, incentrate sui tre mondi della creazione artistica che hanno maggiormente influenzato il suo lavoro: la musica, il cinema e la danza. La mostra offre un'ampia visione dell'opera dell'artista, dimostrando la sua eccellenza in diversi linguaggi, dal fumetto all'animazione. Sono esposti illustrazioni a pastello originali e disegni preparatori, dai suoi esordi agli anni più recenti.

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La sezione dedicata alla musica mostra le prime storie a fumetti ispirate al rock e presenta due nuclei importanti di opere: le illustrazioni per il libro di Lou Reed "The Raven" (2011) e le tavole a china realizzate in occasione della messa in scena di "Hänsel und Gretel" (2009) di Engelbert Humperdinck alla Philharmonie di Parigi. La sezione sulla danza presenta disegni dal libro "Carnaval" (2005), frutto dell'esperienza immersiva di Mattotti al carnevale di Rio de Janeiro, e tele inedite appositamente dipinte per la mostra, facenti parte di un ciclo sulle danze collettive. La sezione dedicata al cinema include lavori legati agli interludi per il film "Eros" di Michelangelo Antonioni, Steven Soderbergh e Wong Kar-wai, nonché estratti di tutte le animazioni di Mattotti con i relativi disegni preparatori. Uno spazio speciale è dedicato al suo ultimo lungometraggio "La famosa invasione degli orsi in Sicilia" (2019), tratto dall'omonimo romanzo di Dino Buzzati. Ogni sezione offre una prospettiva unica sulla carriera di Mattotti, evidenziando la sua capacità di superare le barriere tra generi attraverso il disegno, il quale, con il suo tratto distintivo, conferisce ritmo e dinamismo ad ogni opera. I colori vibranti e quasi ipnotici di Mattotti narrano l'intero spettro delle emozioni umane.

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Ammirando le tavole esposte, realizzate con i tipici colori saturi e sgargianti dei suoi pastelli, si viene trascinati nel ritmo tribale della danza messa in scena da Lorenzo Mattotti. Figure che fluttuano e si librano nell'aria, spesso danzando o recitando, grazie alla sua abilità nel colore. Anche quando utilizza il bianco e nero, dipinge con una sola matita. Le sue opere, che spesso annunciano festival, mostre o film, catturano lo spettatore con il movimento delle figure e la loro postura fluttuante, creando una sensazione di eterna sospensione in una dimensione altra. Mattotti sembra possedere la chiave per far transitare le sue figure da una dimensione all'altra, con forme che si ripiegano, distendono e agglomerano, creando configurazioni fluide e liquide nel colore che le circonda. Le opere di Mattotti non sono levigate, ma ripiegate e distese, dando vita a spazi sognati due volte, come storie già conosciute ma ancora da disegnare. La sua arte suggerisce una magia narrativa o forse solo un'illusione del disegno che sa raccontare, spaziando tra recto e verso del foglio con una mano che stira lo spazio come un elastico morbido e pastoso.

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In questa mostra, Lorenzo Mattotti evidenzia come la sua capacità narrativa derivi dal fumetto e dal suo spazio quadrettato. L'artista ha liberato i dettagli dallo spazio ristretto delle griglie delle vignette, consentendo loro di espandersi in una dimensione più ampia e sfumata. I personaggi di Mattotti, spesso femminili, sono immersi in uno stato di danza costante, con gonne che si gonfiano come ombrelli e dimensioni indefinite che oscillano tra grandezza e piccolezza. La pittura di Mattotti attinge al meraviglioso e al fantastico, con il colore trionfante come sfumato e accensione. Il disegno è per lui un'esplorazione di una mente multiforme e multistrato, sempre legata alla dimensione del foglio. Mattotti crea forme che oscillano tra il definito e l'informe, offrendo uno spettacolo visivo in cui musica, cinema e danza convergono davanti agli occhi dello spettatore.

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© Lorenzo Mattotti e detenenti diritti

 

I macchiaioli

Mentre in Europa si sviluppano movimenti artistici sempre più rivoluzionari, come quello degli Impressionisti, l'Italia rimane in un clima di ristagnazione culturale, fortemente attaccata alla sua grande tradizione classica. Si distingue però un movimento che si sviluppa in Toscana ed in particolare a Firenze, quello dei Macchiaioli. Teorico del gruppo è Diego Martelli, mentre il suo più famoso esponente Giovanni Fattori. Tra gli altri pittori ricordiamo Telemaco Signorini, Raffaello Sernesi, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega.

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Ascolta la lezione audio dedicata ai Macchiaioli.

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Giovanni Fattori "La battaglia di Magenta"

Fattori giovanni Diego martelli a castiglioncello

Giovanni Fattori "Diego Martelli a Castiglioncello" 

Fattori Giovanni in vedetta

Giovanni Fattori "In vedetta" 

Fattori giovanni la rotonda dei bagni palmieri

Giovanni Fattori "La rotonda dei bagni Palmieri" 

 Giuseppe abbati il chiostro

Giuseppe Abbati "Il chiostro" 

Silvestro lega il pergolato

Silvestro Lega "Il pergolato" 

Telemaco Signorini La toilette del mattino

Telemaco Signorini "La toilette del mattino" 

Telemaco signorini la sala delle agitate

Telemaco Signorini "La sala delle agitate" 

 

Edvard Munch

Edvard Munch è nato nel 1863 ad Oslo. Nei suoi quadri cerca di rappresentare principalmente le emozioni, le esperienze personali, i drammi, le paure, l'angoscia esistenziale. Parlando della sua ricerca artistica afferma "Io non dipingo ciò che vedo ma ciò che ho visto".

Munch è noto soprattutto per il suo capolavoro "Il grido", un dipinto iconico che rappresenta un uomo che urla, con le mani sulle orecchie, in mezzo a uno scenario angosciante e surreale. Questo dipinto, che Munch realizzò nel 1893, divenne immediatamente famoso per la sua espressione dell'ansia e del disagio psicologico. Ma Munch non si limitò a "Il grido". Dipinse anche molte altre opere che esplorano temi simili, tra cui la solitudine, la malattia, la morte e l'amore. Molte delle sue opere erano autobiografiche, basate sulle sue esperienze personali di lutto, malattia mentale e relazioni tumultuose.

La tecnica di Munch era innovativa per il suo tempo. Usava colori forti e contrastanti, linee sinuose e forme semplificate per creare un effetto emotivo. In questo modo, Munch è stato un precursore del movimento espressionista, che si sviluppò in Europa all'inizio del XX secolo.

Munch morì nel 1944, all'età di 80 anni, ma la sua influenza sulla storia dell'arte continua ad essere sentita ancora oggi. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo, e molti artisti successivi sono stati ispirati dal suo stile e dalla sua visione. La sua eredità artistica è stata riconosciuta con numerose mostre e retrospettive, tra cui una grande mostra nel 2019 al British Museum di Londra, che ha celebrato il centenario della morte dell'artista.

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Ascolta la lezione audio dedicata a Munch Munch

 munch urlo

edvard munch vampiro

Edvard Munch La danza della vita

Edvard Munch Madonna

Munch fanciulla malata

Puberta

 

 

Neo Impressionismo

Dalle ceneri dell'Impressionismo nasce il Neo-Impressionismo, anche detto "Puntinismo" (per via della tecnica realizzata con piccolissimi puntini di pennello tutti identici fra loro) o "Impressionismo scientifico" (per differenziarsi da quello "Lirico" di Monet e degli Impressionisti originali). Il principale esponente Georges Seurat a cui ben presto si affiancheranno altri membri dell'Impressionismo come Paul Signac e Camille Pissaro. Teorico del gruppo il giornalista e critico letterario Félix Fénéon.

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Leggi qui una scheda di approfondimento relativa a Seurat.

Leggi qui una scheda di approfondimento relativa a Signac.

bagno ad asnieres

una domenica pomeriggio sull isola della grande jatte

scoglio

paesaggio

il circo

 

Post-Impressionismo

L'Impressionismo provoca una profonda rottura con il passato nel mondo dell'Arte e della cultura alla fine dell'ottocento. Grazie alle sfide e alle innovazioni apportate dalle scelte degli Impressionisti il mondo dell'Arte si trova di fronte a nuove sfide e ad una libertà mai avuta prima. Gli studiosi della storia dell'Arte oggi individuano in particolare tre autori che partono dall'esperienza impressionista (perchè l'hanno vissuta o semplicemente frequentata da vicino) per interpretarne il linguaggio espressivo in maniera assolutamente personale. Tre artisti che sposano appieno la sfida della libertà artistica, la fanno propria e la vivono in profondità, pagandone però anche il pesante prezzo. Nessuno di loro in vita gode di un grande successo di mercato, eppure le loro opere oggi sono vendute a cifre stratosferiche. Stiamo parlando di Paul Cézanne (da cui più tardi Picasso prenderà spunto per dar vita al Cubismo), di Paul Gauguin (a cui si ispireranno i Fauves francesi) e di Vincent Van Gogh (che dirotterà l'arte verso una trasformazione espressionista.

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Ascolta la lezione introduttiva dedicata al Post-impressionismo.

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Vincent Van Gogh

Vincent Van Gogh arriva a Parigi nel 1886 e visita l'ultima mostra del gruppo degli Impressionisti. Rimane affascinato dalla forza del colore di questi pittori tanto da cambiare radicalmente il suo modo di dipingere: prima scuro, cupo, derivato dalla pittura nordica del '600, poi vivace, allegro, fortemente espressivo. La natura nei suoi quadri prende vita, si carica di energia, grida la voglia di vivere. L'olio steso sulla tela non ritrae paesaggi ma l'emozione provata di fronte ad un paesaggio. Van Gogh parte da una pittura oggettiva come quella degli Impressionisti per ribaltarne il significato verso una pittura estremamente soggettiva.

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Ascolta la lezione audio dedicata a Vincent Van Gogh.

Leggi qui una scheda di approfondimento relativa a Vincent Van Gogh.

 Vincent van Gogh mangiatori di patate

Van Gogh Autoritratto Orecchio Bendato

van gogh notte stellata

Vincent van Gogh autoritratto

Vincent van Gogh camera letto Arles

Vincent van Gogh campo grano con corvi

Vincent van Gogh disegno

Vincent van Gogh fiori

Vincent van Gogh paesaggio