Alberto Breccia

Alberto Breccia nasce nel 1919 a Montevideo.

 

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A due anni la sua famiglia si trasferisce a Buenos Aires, dove:

  • nel 1936 inizia a pubblicare i primi fumetti su alcune riviste argentine (ricordiamo il poliziotto Mu-fa);
  • nel 1947 inizia a disegnare le avventure di Vito Nervio (testi di Mirco Repetto), poliziotto di Buenos Aires;
  • nel 1956 crea Pancho Lòpez  
  • nel 1958 crea Sherlock Time (testi di H.G. Oesterheld), un poliziotto dello spazio.

Si trasferisce per un lungo periodo in Europa e, al suo ritorno:

  • nel 1962 crea Mort Cinder (testi di H.G. Oesterheld);>
  • nel 1966 fonda, insieme ad altri, l'Istituto de Directores de Arte dove insegna;
  • nel 1969 disegna El Eternauta e La vita del Che.

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In seguito riduce a fumetti Los mitos de Cthulhu di H.P. Lovercraft (testi di Carlos Trillo).

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Alberto Breccia, ha lavorato per quasi tutta la vita in Argentina, ma i suoi lavori sono conosciuti in tutto il mondo. E’ un autore completo che ha saputo sperimentare sempre nuove strade e rinnovare continuamente il suo stile, mettendolo al servizio dell’espressività e della narrazione. A fianco dello scrittore Héctor G. Oesterheld, ha dato vita ad alcuni dei fumetti più importanti della storia dei comics, come “Mort Cinder” e “L’Eternauta”.

Lo citiamo, in questa nostra breve ricerca, proprio per dimostrare come la scelta espressiva (stile del disegno, grafica e ripasso a china e modalità di racconto) sia fondamentale all’interno del meccanismo complesso che si instaura fra l’autore e il lettore. L’espressività cattura l’attenzione di chi legge e può condurlo in mondi meravigliosi.

Il disegno di Breccia ora diventa macchia, contrasto di bianchi e di neri, ora sagoma scontornata, o taglio geometrico equilibrato. Distese fluide e compatte di nero, lasciano il posto ad arzigogoli descritti con cura di particolari e dettagli: le rughe della pelle, le pagine di un vecchio libro, i ricami di un’antico orologio.

Per raccontarci la crudeltà della guerra, la sua penna diventa uno stilo graffiante ed acuto, inclinato a tagliare ferite laceranti, come solo il filo spinato può fare. Sembra quasi che la tavola sia stata composta direttamente in trincea, riportandone le scaglie delle granate, il sangue dei morti innocenti, travolti dall’assurdità della violenza.

Le inquadrature, insolite e deformate, sono tipiche del suo stile. Nella vignetta centrale della pagina qui a fianco, la schiena del protagonista, imponente, diventa il fulcro bianco attorno al quale ruota la minuzia ruvida e fastidiosa del dettaglio. E’ la polvere della guerra che tutto ferisce e rovina.
La pienezza della scuola brecciana, imitata ma mai eguagliata, proposta sempre con umiltà e mai autoreferenziale, rende ancor più grande e fondamentale il lavoro e la ricerca di questo artista.

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Ulteriori approfondimenti:

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Che

 Articolo di Marco Feo

 

 

 

 

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Mort Cinder

 

 

 

 

 


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