Filippo Scozzari

Filippo Scozzari nasce nel 1946 a Bologna. Esordisce a metà anni'70 su "Re Nudo". Ha collaborato al "Mago", "Alter Alter" e il "Male". E' tra i fondatori di "Cannibale" e "Frigidaire".

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Era il lontano 1995. Il sito dello Sciacallo Elettronico non esisteva ancora (sarebbe nato nell'ottobre di quell'anno). Internet incominciava a diffondersi nelle case degli italiani, ma in pochi ancora ne avevano accesso, utilizzando il modem telefonico e utilizzando lo stesso contratto a consumo della linea telefonica. Altri tempi... Con alcuni amici attraversavo l'Italia, da nord a sud, per intervistare i più importanti autori di fumetti e raccontare la loro vita su questo nuovo medium che stava nascendo. Fu così che finimmo per intervistare anche Filippo Scozzari, uno dei geni creatori tra i principali esponenti del nuovo fumetto italiano degli anni '70: il così detto "fumetto d'autore". L'irriverente fumettista ci ospitò gentilmente a casa sua, sulle colline vicino a Rimini. Mentre ci offriva un caffè in cucina i suoi bimbi scorazzavano per la casa facendo un gran chiasso e, senza che nessuno se ne accorgesse, spalmarono il retro del televisore con la pasta che la mamma aveva preparato per fare la pizza. La pasta colò inesorabile nel tubo catodico (in quegli anni c'era ancora il tubo catodico) e Scozzari ci chiese, visto che erevamo "esperti di elettronica" (in effetti stavamo per fare la prima rivista di fumetti su internet) se erevamo in grado di cavarlo da quel guaio. Ma aimhè della pasta sul catodico ne sapevamo proprio poco... Così prese avvio una memorabile chiaccherata con Filippo Scozzari.

- Sciacallo: Dalle prime esperienze di Traumfabrick, passando attraverso Cannibale, fino ad approdare a Frigidaire... ci puoi parlare di quegli anni?

- Scozzari: Traumfabrick (ndr: "fabbrica dei sogni" in tedesco) era un'appartamento occupato, a Bologna, nel quale risiedevo io e un gruppo di ragazzotti che poi, alcuni di questi, divennero i "Gas Nevada". Uno dei primi gruppi italiani di rock demenziale. In quell'appartamento conobbi Andrea Pazienza, a cui piacque subito molto questa idea e nei suoi primi fumetti su Linus si auto elesse membro del Traumfabrick, di cui praticamente ero solo io l'unico socio. In questo appartamento nel centro di Bologna, a due passi da Piazza Maggiore, ho visto l'escalation dell'eroina: afgano in strisce, a stecchette come si diceva allora; oppio in palline; eroina. Incominciarono a volare siringhe nell'aria, ed è stata la sentenza di morte per Pazienza e Tamburini. Così sono stati sverginati. Andrea fu sverginato da una testa di cazzo, che fu poi il primo morto di A.I.D.S. a Bologna. Io facevo la parte del vecchione con i soldi, perché ero pagato e strapagato da Linus, in mezzo a questi ragazzini che vivevano nelle case occupate, ma che poi tornavano a casa loro a mangiare. Io mi sostenevo, ma poi dovevo sostenere anche le loro stronzate. Mi sfondavano la porta perché venivano a cercare gli allora mitici Pantone, per venire a scarabocchiare. La giovane sinistra aveva preso fuoco, si era messa ad incendiare i cassonetti per le strade. Ma nessuno mi toglie dalle testa che non è mai stato fatto nulla per impedire il sorgere e l'impiantarsi dell'eroina. In questo modo si è tranquillizzata una generazione di rompi coglioni. Questo è il delitto che è stato commesso a Bologna. Molti si dichiarano in disaccordo, con questa mia teoria, però esserci stati a Bologna nel'77 ... io le manganellate le ho prese dal servizio d'ordine dei comunisti, mica dai fascisti o dai carabinieri. Molto probabilmente perché avevo la bicicletta dipinta di viola, sostenevano. E li trionfava il Cannibale. Un gruppo di disegnatori si riuniva periodicamente in una delle città del nord: Brescia, Milano, ecc... In una di queste riunioni incontrai Tamburini, che si era portando dietro Mattioli e un numero di Cannibale. Lo avevano fatto con la carta rubata da una cartiera fallita. Io ero già stanco di queste riunioni perché non concludevano nulla. Si ritrovavano una quarantina di disegnatori italiani, da Munoz a Vicino, Jacopo Fo, Andrea Pazienza... ed erano assolutamente inconcludenti perché ognuno aveva la sua idea politica, la linea da dare. Tamburini mi mise sotto il naso questo giornalino orribile, il Cannibale, che però aveva il pregio di essere una cosa già fatta, già realizzata. Quindi letteralmente in un secondo, mi ricordo benissimo, eravamo in via Alessandrini a Milano, decisi di piantarla e di associarmi a questo lucidissimo ciccione romano, che aveva inventato, assieme a Mattioli, il Cannibale. Da tutto questo genere di riunioni, alla fine una costola, un gruppo di disegnatori, venne fuori e mise in piedi il Male. Un gruppo il Cannibale e un gruppo il Male. Il Male si comportò "male" nei confronti del Cannibale. Perché si assunse la responsabilità gestionale, ma non fino in fondo. Non curò molto bene la distribuzione. Loro avevano il Male a cui pensare e bastava e avanzava. Noi di Cannibale eravamo un gruppo di sfigati, in parte già allora pronti ad accoltellarsi l'un con l'altro. Appoggiarsi al Male per il lavoro di fureria (distribuzione, pagare chi veniva a pulire il locale, ecc...) fu facile da parte nostra, però poi chiudemmo. Da questa atroce esperienza nacque Frigidaire. E il resto è storia.

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- Dopo le mutazioni di Frigidaire, ti abbiamo visto ricomparire sempre meno. Un pò su Blue. Ma nel frattempo, che cosa hai fatto? Pubblicità?

- Anche. Quasi soltanto. Diciamo che mi sono dedicato ad altre forme di comunicazione. In maniera meno educata diciamo che ho fatto "marchette". Come alla Montedison per la quale ho disegnato tubi all'aerografo, la marchetta più brutale che si possa immaginare. Poi un altro lavoro per la Fiat, in realtà una forma molto indiretta di pubblicità. La fiat aveva messo fuori una monografia mensile, che doveva uscire per 14 numeri complessivi. Ogni numero imperniato su di un tema. Le parole d'ordine di questi anni: l'energia, l'ambiente, i nuovi lavori, i materiali, ecc... Naturalmente, per rifarsi ad una verginità, e salvarsi dalle puttanate che l'industria ha commesso in Italia, e di cui i giudici, in parte, si sono accorti. Assieme alla Rizzoli ha messo fuori questa cosa, intitolata "duemila giorni al duemila". E avevano pensato di appaltare a quattro o cinque disegnatori importanti, questo era il progetto iniziale, tre o quattro monografie a testa. A me, a Moebius, a Tanino Liberatore, e non mi ricordo a chi altri. Poi non so per quale motivo, hanno completamente cambiato la politica di questa loro committenza e hanno deciso che ogni monografia venisse illustrata da un solo disegnatore. Quindi 14 numeri, 14 disegnatori. Che mi sarebbe andato anche bene se non avessero scelto me come apripista. Il vecchio lupo che apre la pista ai giovani di belle speranze. Hanno pubblicato delle cose talmente di basso valore che ad un certo momento hanno dovuto chiudere.

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- E ora che cosa stai facendo? Perché su Blue esce poco di tuo. Non c'è più una tua tavola su Frigo. Eppure tu sei stato uno dei progettisti.

- In questo momento non sto facendo quasi più niente perché ho tirato un pò i remi in barca. Sono ammalato di una forma gravissima di fannullonaggine galoppante e cronica al tempo stesso. Per cui esce poco, è vero. Ho battezzato Blue come l'unica rivista in Italia che paghi e su cui valga la pena di apparire, e come l'unica rivista che possa pubblicare il mio tipo di storia, anche se, essendo il tipo di rivista che è, le storie devono essere per forza di un certo taglio. Dato che non mi interessa essere etichettato come pornografo, seppur di lusso, o pornografo incravatato, è un tipo di target di cui non me ne frega nulla, cerco di non confluire nel mare magnum degli schifosi, che disegnano. Cerco di fare dei fumetti di qualità. Non so se avete visto questi fumetti Hunters & Collectors? Che non sono poi fumetti, ma tavole singole, molto lunghe. Io non sono mai stato un fulmine di guerra, faccio cose in punta di pennello, e quindi lunghissime.

Blue è strangolata dalla politica forsennata del suo distributore, che decide di dare i soldi a Blue solamente quando paga lui, per cui la rivista, che va benissimo, è costretta a pagare solo quando ha i soldi a disposizione. Una volta in più io sono costretto a commisurare la mia voglia di fare, ai voleri di qualcun altro. Negli ultimi periodi in cui collaboravo con Frigidaire ero costretto a convivere con le cose che Vincenzo pubblicava e che per altro continua a pubblicare. Ho deciso di tagliare la corda quando mi sono accorto che non faceva altro che chiedermi ritratti di Cicciolina o di Berlusconi. Non mi riconosco in quel progetto. Non è più una rivista, per quanto a Sparagna possano drizzarsi i baffi per quello che sto per dire, adatta ad ospitare le mie cose. Oltre al fatto che non paga. Siccome disegnare è una fatica della madonna, per me poi in maniera particolare, dopo che ho dato gratis per 15 anni la mia roba a Frigidaire, non ho assolutamente più intenzione di continuare. Avrei dovuto smettere molto prima. E' vero che sono stato uno dei progettisti, ma non il principale. Solo uno dei cinque che l'hanno fatta nascere. Non ho potuto governarla al cento per cento.

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- Solitamente sei tu a proporre le storie a fumetti (magari partendo da un'idea preesistente, da un lavoro in corso) o sono le case editrici a chiederti qualcosa? Ad esempio per Blue?

- A loro va bene qualsiasi cosa io gli proponga. In realtà nessuna rivista al mondo ti dice cosa fare. E' rarissimo che ti chiedano di fare qualcosa su di un tema preordinato. Facci una cosa su Cicciolina, facci una cosa su Garibaldi. Capita ma è rarissimo. Anche Vincenzo è rarissimo che mi chieda fammi una copertina su Berlusconi. E anche quando ci sono delle idee redazionali le si propone al disegnatore, le si discute e magari da un'idea di partenza si va a finire in un'altra. E' chiaro che essendo Blue una rivista erotica, non posso fare fumetti filosofici, così come su una rivista di filosofia non posso fare fumetti porno, o di guerra, o di astronavi. Esser professionisti significa anche questo: misurarsi la palla. Per cui sapendo che Blue è quella rivista, ho dovuto pensare ad un certo tipo di fumetti. Ma dato che sono il monellaccio di sempre non mi andava di fare i soliti fumetti banali e ripetitivi. Ho cercato così di prendere per i fondelli anche il genere fumetto erotico e porno. Ed è scattata la duplice operazione di prendere in giro il fumetto porno e il fumetto da serva: il fotoromanzo. Mi sono procurato una collezione alta un metro, che farebbe la felicità di qualsiasi serva, di queste riviste come Bacio, Kiss e tutte questa stronzate infernali. Li ho messi sul tavolo luminoso e ho ricalcato le vignette. Siccome non mi andava di disegnare ho pensato stoltamente: se ricalco, la qualità più o meno rimane però la fatica l'ha fatta qualcun altro. In realtà non è proprio così perché il tempo che risparmi nel disegnare lo consumi poi da un'altra parte. Cioè a pensare come costruire la storia. Finché ho fatto i fumetti nel vecchio modo, prima mi scrivevo la storia, poi la sceneggiatura, e poi la disegnavo. Il disegnar fumetti è l'ultima parte di un lungo processo di creazione. Con questi fumetti di Blue il processo di creazione l'ho invece completamente saltato. Mi mettevo al tavolo di disegno senza alcuna idea precedente. Per cui la storia veniva praticamente narrata dalla sequenze delle vignette che più o meno mi sceglievo in questa infinita collezione di fotoromanzi. Il problema è che è una tecnica che può funzionare per le prime due o tre tavole. Poi, siccome la storia poco alla volta prende corpo, se non sei un pazzo completo, devi inseguire la logica che si è andata costruendo quasi da sola. E così sei costretto ad andare a cercare le vignette che funzionino. Mille vignette che scegli sempre più affannosamente, sempre più velocemente e che poi magari non vanno bene, per cui qualche volta le devi addirittura disegnare. Hai un'obbligo di chiudere in sei, sette tavole, non di più, e quindi devi stringere, per quanto la follia possa essere folle, alla fine devi arrivare ad una conclusione logica. Comunque, essendo il genio che sono, ci sono sempre riuscito. In realtà ho fatto un exploit di cui sono abbastanza fiero: siccome il primo esperimento di questo tipo era apparso sulla nuova rivista di Sparagna: Castingh, non mi andava che fosse un esperimento di cui nessuno avesse notizia. Così ho ripreso questa storia senza cambiare nulla, se non qualche particolare di aggiunta, come ad esempio: in una vignetta c'erano due che si baciavano sulla spiaggia e come sfondo ho aggiunto la raffineria di Gioia Tauro. Il resto della storia l'ho lasciata immutata e ho cambiato solamente i testi. E' venuta fuori una storia completamente diversa da quella precedente, forse addirittura più bella ed è stata la quarta puntata che è apparsa su Blue. Quello che mi salva agli occhi miei, non è tanto il cambiare spesso editore, quanto la voglia di combinare casini, di aver voglia di agitare il cervello.

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- Ma questa sessualità pazzesca, oltre i limiti della perversione e dentro la mutazione, la catastrofe, l'allucinazione, da da dove proviene? E' una forma di presa in giro?

- Un altro dei limiti che mi ero auto-imposto, oltre a quelli di prendere in giro il genere fotoromanzo e il genere fumetto erotico, tipo il Lando, il Pompa, e gli altri fumetti porno da camionisti, era di fare un fumetto porno i cui personaggi fossero sempre vestiti, che non commettessero agli occhi degli spettatori-lettori niente di men chemeno corretto. Una pornografia puramente verbale, al massimo le parolacce, ma neanche tante. Non verbale e non visiva. Una pornografia di sentimenti o un pornografia di situazioni. Tipo quella che va al ristorante e paga il conto facendo il bocchino al cameriere. Ma il fatto è descritto tramite le impressioni di un'altro che vede la scena. Senza che si veda nulla. Sarebbe troppo facile, e un minimo di furbizia non fa commettere l'errore di disegnare una scena di questo tipo, su di una rivista in cui prima di te ce ne sono già tre e dopo di te altre quattordici. A parte che è una concorrenza che non sento, ma poi bisogna anche trovare il trucco per farsi ricordare in qualche modo. Per cui se fai della pornografia in cui gli attori sono vestiti, parlano come dei chierici e però sono immersi in situazioni assolutamente scandalose, questo mi stimola molto di più.

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- E i racconti porno con le illustrazioni?

- L'esperimento dei racconti porno con illustrazioni mie è nato sempre da un progetto ben preciso, in cui il buon Francesco Coniglio avrebbe voluto pubblicare questi inserti, poi attendere tempi più maturi e mettere fuori la collezioncina completa in una specie di cofanetto. Però per problemi dovuti alla distribuzione, il terzo episodio della serie non è stato pubblicato nella stessa forma. E li mi sono divertito ancora di più a prendere in giro il concetto di racconto pornografico. Ogni racconto fa parte di un genere, c'è il racconto sportivo, il racconto storico, il Fantasy, la fantascienza, il giallo, ecc... Non c'è nessun racconto esclusivamente e completamente pornografico. La bella pornografia non è per quello che fai vedere ma per come li fai agire. Non c'è una rivista pornografica che non mi faccia altro che ridere. Non eccita nulla in me. Dato il genere, dato le regole, queste sono le cose che si devono fare. La formula è bella perché si può infrangere. Se uno la deve seguire... che due palle. Anche questo è il senso dell'operazione racconti pornografici. Non è la sessualità pazzesca, ai limiti della perversione, ecc... Se c'è una cosa che odio è sicuramente il sadomaso. Cuoio, frusta, ecc.. Se no si cade nella vecchia polemica: se io disegno una storia di froci, non è che sono un frocio. Se io disegno una storia di assassini, per parlare di un altro genere della comunicazione, non è che sono un assassino.

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- Esistono delle tavole che non hai osato pubblicare? Che non ti hanno mai voluto pubblicare?

- No. Ho sempre osato pubblicare tutto. Nel momento in cui io le disegno vuol dire che ho osato pensarle. Il problema non è che cosa uno osa fare, o che cosa uno osa presentare. Sono gli altri che non osano. L'unico che non abbia mai proibito nulla è stato Sparagna. Questo va detto in suo onore.

Mi è successo quando cerco di fare il dispettoso al di là del sopportabile. Mi ricordo che ci fu una mostra a Bologna, e c'era un gruppo di ragazze, che adesso hanno una libreria nel centro, la Giannino Stoppani, che aveva avuto una buona idea. Le quattro operatrici del settore editoria per l'infanzia avevano scoperto che da decenni le vecchie storie classiche come Pollicino, Il gatto con gli stivali, Pinocchio, ecc, non avevano più avuto illustratori. Perché ogni editore che metteva fuori per l'ennesima volta la vecchia storia dei Fratelli Greem, o la vecchia favola di Andersen, usava ancora le vecchie illustrazioni. Ci sono tanti disegnatori italiani, perché non sfruttarli? Perché non distrarli dal loro mondo di fumettari e avvicinarli al mondo delle illustrazioni delle favole? Quindi moderno e classico; poteva succedere qualcosa d'interessante. D'interessante successe ben poco, oltre alle mie tavole devo dire. L'idea comunque era buonissima e fecero una mostra. A me avevano dato Barbablù. La specifica era di due tavole: io che sono cretino ne feci tre. Due erano abbastanza morigerate e una proprio... anche qui, nulla di particolarmente efferato, non si vedeva nulla di scorretto, ma era la situazione. Era Barbablù che stava sopra ad una ragazza, tutto nascostissimo da veli e lenzuola. Di Barbablù si vedeva addirittura solo un occhio e le mani che stringevano le anche della donna. Ma era il linguaggio e la situazione che fecero si che questa tavola non fosse mai esposta. Quindi una loro auto censura, per la scusa che venivano le scolaresche, ecc... Tavola che fu poi pubblicata su Frizzer. Quindi se non ti pubblicano è perché: o il committente non ha abbastanza coraggio, oppure perché tu non sei stato così professionista da ottemperare in maniera, non dico letterale, ma almeno intelligente, alle specifiche che ti vengono richieste. Se sai che è una mostra o un libro per educande, nel momento in cui tu accetti, non puoi continuare a fare il monello senza farti censurare. Non becchi i soldi, non becchi il pubblico, ti fai odiare. E' un puro errore. Sta nella tua intelligenza piegare le regole in maniera creativa a tuo vantaggio. L'artista censurato, per quanto possa far parte della categoria degli eroi, è sempre un'artista che nessuno vede.

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- Tu sei sempre stato un'eversore, hai sempre fatto fuoco e fiamme (con squisita eleganza per altro)...

- Il fatto di essere eversori non implica che si debba farsi sentire ogni trenta secondi, anche perché stanca. Uno si accorge che il fumetto non è di per se un'arma sufficiente a innescare qualche rivoluzione. Quando poi, come citavo l'esempio della Fiat, addirittura ancora adesso il fumetto non viene compreso come strumento di comunicazione, è inutile che uno faccia l'eversore. Si deve ancore impostare nel mercato italiano una grammatica di base, una grammatica comune ai consumatori di fumetto per cui si possa andare avanti con il discorso. Creare il mercato. Siccome il mercato non c'è, è inutile che uno faccia l'eversore di una cosa che non esiste. Io continuerò a farlo, però in parte me ne è passata la voglia. Anche perché si continua a dire la stessa cosa. Le orecchie di chi sta vicino si incalliscono o non danno più retta.

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- Non ti sembra che manchino storie (soggetti) di un certo peso? Che i fumettisti si concentrino più sul disegno che sul tessuto narrativo?

- Si, io sono sempre stato convinto che nessuno abbia ancora fatto la divina commedia del fumetto. Ci hanno provato. Fenomeni come Ranxerox, ma forse la gente si è attaccata al personaggio non tanto alle storie. Il buon Tamburini deve aver beccato in qualche modo un tasto nascosto del pubblico di Frigidaire e li ha soddisfatti. Ma non posso dire che l'epopea di Ranxerox stia nel fumetto come i Promessi sposi, Robin Hood, ecc... C'è Tex nel fumetto italiano, però non sono la grande opera. Non ci sono storie che hanno cambiato la storia del fumetto nel momento in cui appaiono, ci sono molti romanzi nella storia della letteratura che, nel momento in cui appaiono, cambiano o aggiungono qualcosa che prima mancava. Da Dante a James Jois, a William Shakespeare a Kafka... I miei si, ma la gente non se ne accorge, per cui sono l'unico a dirlo e quindi probabilmente devo aver fallito in qualche modo. Non parlo per invidia. E' verissimo che mi piacerebbe che i miei fumetti vendessero almeno la metà di quello che vende Dylan Dog. Ma questo non mi impedisce di dire che Dylan Dog appartiene al genere di fumetto per serve. Oltre al fatto che di suo il buon Sclavi non produce nulla. E' un riciclo di parti, senza fatica alcuna. Nella fattispecie del genere Horror, nero, fantascienza, ecc. Ha masticato di tutto e vomita di tutto.

- E i nuovi? i "giovani" Gli ancora inediti? Vedi qualche luce?

- Non c'è luce, non c'è mai stata.

- C'è un problema anche di mercato e di ciò che appare in edicola. Che ormai sono per la maggior parte americani o Bonelli, mentre le riviste d'autore spariscono.

- Si, non è stato fatto nulla in Italia (Frigidaire escluso) anche dal punto di vista della critica, per coltivare la gente a prodotti superiore da un punto di vista mentale e culturale. E quindi gli editori poi si ritrovano con il pubblico che si meritano. Se facciamo un confronto con la Francia siamo veramente anni luce indietro.

- Per cui anche giovani che potrebbero avere del talento, Palumbo per dire il primo nome che mi viene in mente, o lavorano per Bonelli, o se no non hanno molti spazi qualitativamente validi.

- Si. Non essendosi create le condizioni per un mercato quando poteva esserci il momento, ora gli autori la pagano. Agli editori può anche andar bene a pubblicare il genere che vende molto, anche se popolare e basso. Io su Blue a fare, tra virgolette "lo schifosino", e Palumbo a fare lo schiavo. Ho suscitato un vespaio recentemente perché sono andato ad un Talk Show a Milano in cui c'era Gianni Ippoliti, Bruzzese, ecc a parlare di creatività e comunicazione. Una ragazzina chiedeva perché li sul palco c'erano solo questi vecchi. Ed io a questa domanda assurda in se, ho risposto che molto probabilmente i giovani non hanno nulla da dire. Bisogna dare modo ai ragazzotti prima di incamerare i succhi della vita, pensarci sopra, rigovernarli secondo i proprio filtri secondo come sono venuti su, e poi rimettere fuori quello che loro pensavano d'aver imparato dalla vita. Il vespaio è venuto fuori in quanto io sostenevo, come sostengo tutt'ora, che noi in realtà abbiamo la possibilità di imparare per i nostri primi 20-25 anni, dopo di che quando si passa alla fase creativa non è altro che un riciclare, in maniera sempre nuova, solo le cose che abbiamo imparato nei primi anni. E anche gli artisti giovani, le grandi scoperte che vengono portate su di un palmo della mano lo sono solo perché si possono sfruttare. Non si può investire su di un vecchio che ti potrà produrre solo per i prossimi dieci anni. Un ragazzo produrrà per 20-30-40 anni, se governato in un certo modo. Io, comunque, accetto di parlare con chiunque, perché ho l'illusione di poter trovare il novello Pazienza.

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- Non ti è mai venuta la tentazione di fare un altro Frigidaire? Cioè un'altra rivista dirompente come quella?

- Mancano le condizioni. Da un lato perché la carta è salita a costi insostenibili. I Produttori di cellulosa del Canada e della Svezia non consegnano più polpa alle cartiere italiane. Si è aperto il mercato orientale, la lira non conta più nulla, per cui è preferibile vendere a gente che paga in Jen. Dal punto di vista industriale fare una rivista è un costo bestiale, mancano le condizioni, perché il tasso d'intelligenza generale è andato calando. Anche se mi sembra di parlare come un vecchio barboso, ma è così. E' difficile trovare dei collaboratori che sappiano tenere la palla al livello che almeno io desidererei. L'esperienza di Sparagna insegna, lui ad un certo momento, per incapacità di delegare sua personale e per problemi oggettivi, si è trovato a dover fare la rivista da solo. Siccome fare la rivista è una fatica da miniera di zolfo siciliana, la prima cosa che ti parte, molto prima della voglia, è la salute. Io sono schioppato, Sparagna è finito all'ospedale... non ne vale la pena. In Italia il pubblico è ridottissimo per queste cose, e anche se gli vuoi un bene dell'anima, non ne vale più la pena. Frigidaire è stata una lezione molto salutare, anche se ha tentato di uccidere me e Sparagna. Poi non esiste la libertà di stampa in Italia, perché nel momento in cui decidi di fare il Pierino birichino, cioè il cattivo ma in senso buono, li hai tutti addosso e sono potentissimi. Mancano le condizioni culturali. La rivista d'elitt e costretta in Italia rimanere tale. C'è il problema della pubblicità. I costi infernali, pagare l'autore, la carta, la cromia, la stampa, la distribuzione, i distributori impegnati in una lotta fra loro per non soccombere. Le grandi case editrici come il Corriere della sera, la Rizzoli, cercano di avere i propri canali di distribuzione. Così i vecchi si sono visti privati di un terreno prima utilissimo. Tutta una situazione generale della piccola editoria che è messa in condizioni disastrose. A questo aggiungiamo la televisione che è un concorrente spietato. Nessuna di queste condizioni è di per se insuperabile, e Frigidaire lo ha dimostrato e se si vuole in qualche modo lo sta dimostrando tutt'ora. Però comincia a essere insuperabile il cumolo di queste. A meno che uno decide di saltare il fosso e di mettersi nell'editoria elettronica. Ma in Italia chi ha il computer con il modem, sono ancora molto pochi. E di per se non costituirebbero un bacino di utenza, parlando in maniera forbita, sufficiente a farti campare. Nel futuro si potranno in questa maniera dribblare i vari problemi, ma è ancora molto lontano. (ndr: al momento dell'intervista Lo Sciacallo non esisteva ancora!)

- Tu sei un grande narratore, non hai mai pensato di scrivere un libro?

- L'ho già fatto, si Chiama "Cuore di Edmondo" della Granata Press di Bologna. Ma Bernardi ne ha stampate solo 1500 copie e le ha messe sotto il materasso, così nessuno se ne è accorto. Era una presa in giro del libro Cuore. Mi chiamarono quattro o cinque estati fa, un signore che non conoscevo, di una compagnia teatrale che voleva mettere in scena questo libro: Cuore. Pensavo che mi avessero chiamato per le scene o per la locandina, invece mi chiesero di scrivere il testo. Cosa che io non avevo mai fatto, ma mi sono divertito un casino. La compagnia fece 70-80 repliche sulle piazze italiane, con grande successo. Conclusa l'impresa, la compagnia si è sciolta ma a me è rimasto il dispiacere che la cosa non potesse essere goduto anche da altri. Così ho riscritto il testo che avevo fatto per il teatro e l'ho riscritto in forma letteraria.

- Chi era la regia della compagnia?

- Gigi Dall'ario. Abbastanza famoso nel mondo del teatro. Ti accorgi di parlare con le persone intelligenti quando ti fanno delle richieste intelligenti. La richiesta era di mettere in scena il libro. Siccome mi conosceva, voleva che la cosa fosse abbastanza folle. Scozzarizzare il testo di De Amicis. Una cosa non troppo pallosa. La gente resta a teatro al massimo un'ora e mezza. Un'esperienza interessantissima. Dopo questa esperienza molti mi hanno chiesto perché non scrivo dei libri. Ma mi sono accorto che non è che sia un grosso scrittore di libri. Se uno mi da un osso da mordere, io l'osso lo rodo e mi ci diverto un casino. E riesco con le mie zanne del cavolo a piegare l'osso come voglio. Ma se non c'è un tema preciso. O lo pensi tu, o te lo danno altri. Ma ci deve essere il tema. Un punto d'appoggio.

- Sei sempre il migliore?

- Si!

Intervista pubblicata sul numero 0 dello Sciacallo Elettronico dell'ottobre 1995 - Intervista a cura di Davide Avogadro, Marco Feo, Sandro Pallavicini.