Moore Alan

Non sapete chi sia ALAN MOORE? Allora non siete amanti del fumetto! Ma visto che noi di Ultrazine non siamo così cattivi come sembriamo vi sussurriamo qualche parolina magica: Watchmen, From Hell, Swamp Thing, V  for Vendetta, The League of Extraordinary Gentlemen. Autentici capolavori!

Vi proponiamo un'intervista di Barry Kavanagh.


BK: Credo che tu stia a Northampton. Io chiamo da Dublino. Non so nulla di Northampton. È un posto grande? Una cittadina o una città?

È una cittadina. Credo sia grande come certe città ma non ha la Cattedrale a norma, per cui non è considerata una città. È un posto interessante. Il libro che ho scritto, Voice of Fire, è in gran parte basato su Northampton. È piuttosto interessante, una cittadina più grande, come ti dicevo, di certe città.

BK: Quanti abitanti?

Non saprei dirti.

BK: Ma non sono un milione o una cifra simile?

No, ma ci sono città più piccole di Northampton. In termini di violenza criminale è al livello di posti che sono molto più grandi e noti, sai? Storicamente ha molti aspetti piuttosto interessanti. C'è stato un momento un cui era più o meno la capitale non ufficiale della Britannia.

BK: Della Britannia?

Beh, dell’Inghilterra, certo. Durante i Sassoni sarebbe stata la capitale, ma a parte questo i membri della famiglia reale nascevano o morivano qui; qui si svolse l'esecuzione di Maria, Regina di Scozia; credo che qui nacque Riccardo III; è qui che si decise la Guerra delle Rose ed è qui che si decise la Guerra Civile Inglese. Da quello che so, Northampton è pressoché equidistante da ogni costa, questo significa che si trova al centro della nazione, perciò tutte le guerre interne che si sono svolte in Inghilterra sono dovute passare per di qua. Un sacco di stani fatti storici sono accaduti qui.

BK: È un posto urbano, o è circondato da colline o simili?

Se esci fuori da Northampton ci sono diversi bei posti di campagna ma non te ne renderesti conto stando nella città. È un posto piuttosto urbano, credo che non si discosti molto dalle altre cittadine dell'interno, con gli stessi negozi. C'è una certa omologazione.

BK: Bene, iniziamo a parlare dei fumetti che hai scritto. Ma prima un paio di domande generiche sui fumetti. Che ne pensi del termine "graphic novel" diventato d'uso comune?

È un termine inventato dal marketing. E non mi è mai piaciuto. "Fumetto" va assolutamente bene per me. Graphic novel è un termine che è stato tirato fuori negli anni '80 dai tipi del marketing. C'era un certo Billy Spicer che negli anni '70 stampava un'interessante fanzine chiamata Graphic Story Magazine. È lui che coniò il termine graphic story, e aveva una ragione d'essere. Capisco l'uso della parola graphic story se hai bisogno di dare un nome a qualcosa, ma quello che successe a metà degli anni '80 fu che uscirono un paio di fumetti che si sarebbero potuti chiamare semplicemente “romanzi”. Si potrebbe chiamare Maus semplicemente un romanzo; lo stesso si potrebbe fare con Watchmen per via della densità, della struttura, della lunghezza, della serietà del tema, e per altri lavori simili.

Il problema è che "graphic novel" assunse il significato di "fumetti costosi" e quello che accadde fu che la DC Comics e la Marvel, poiché le "graphic novels" stavano ottenendo grande attenzione, mettevano insieme  sei numeri di una qualche schifezza senza valore che pubblicavano rilegata sotto una cover in cartoncino e la chiamavano The She-Hulk Graphic Novel. È stato questo atteggiamento che penso abbia distrutto qualsiasi progresso il fumetto possa aver fatto a metà anni '80. Le case editrici, la gente del marketing, non sono gente molto intelligente, non sono creativi, non sono persone che ci sanno fare per davvero. Vedi, non hanno ancora capito che cosa sono stati gli anni '70, perciò il 21esimo secolo è lontanissimo per loro e così pensano solo a breve termine. Di conseguenza sono loro che vanno colpevolizzati per aver distrutto quel momento di punta che il fumetto ha vissuto a metà anni '80, poiché l'hanno sfruttato solo per vendere quantità di Batman e Spiderman privi di valore.

Per questo graphic novel non è un termine in cui mi ritrovo. Non è certo un qualcosa per cui fare una crociata - non mi importa molto come i fumetti vengono chiamati - ma graphic novel non è un termine che mi piace. Credo che il termine "fumetti" vada benissimo.

BK:  Che cosa ne pensi dei fumetti che vengono pubblicati attualmente?

Penso che vengano pubblicato troppi nuovi titoli… Se prendessi i team creativi e li allineassi contro un muro e poi aprissi il fuoco non ci sarebbe alcuna ripercussione a livello culturale, e ci sarebbero probabilmente un sacco di alberi che ti ringrazierebbero. Il 99% della roba che edita la maggior parte delle case editrici è spazzatura illeggibile. Non solo non piace ai ragazzi, ma non è neanche più pensata come un prodotto per ragazzi. Quanti anni ha il lettore medio di fumetti? Credo sui trenta. Questo significa che un sacco di lettori hanno sui quarant'anni. E questi sarebbero ancora ossessionati dagli stessi personaggi in calzamaglia? Non credo… mi piacerebbe vedere meno fumetti pubblicati ma un po' più di idee. Penso che uno dei problemi dell'industria del fumetto sia questa filosofia: meglio pubblicare 50 fumetti invendibili piuttosto che 5 che vendono.

BK: È una cosa da pazzi…

Si, ma è quello che succede. Vedi, bisogna distinguere. Bisogna separare il medium dall'industria. Il medium fumettistico è meraviglioso e produce ancora lavori notevoli, molti di più di quelli che ci aspetteremo. Credo che al momento siano prodotte opere importanti in quantità come mai prima. Basta guardare solamente i lavori di Chris Ware sul suo Acme Comics Novelty Library. Uno dei fumetti migliori, dei più mozzafiato dell'ultimo decennio. Ma sfortunatamente l'industria è ancora nella sua spirale discendente e in larga misura a causa dell'incompetenza - non c'è altro termine per descriverla - di chi la dirige.

BK: Beh, andando in giro per le fumetterie si vedono sempre le solite cose. Non si direbbe che ci sia tutta questa varietà…

La varietà c'è, ma probabilmente molti negozianti non ordinano quei fumetti. Il fatto è che chiunque voglia rifornirsi… vedi, da quel che ho sentito qualcuno ha fatto un film quasi decente sugli X-Men - non mi disturberò a vederlo perché credo che lo standard "quasi decente" di molte persone sia lontano dal mio (e sono comunque troppo snob) - ma il problema è che come per il film di Batman ci furono un sacco di batcazzate, così ci saranno un sacco di X-cazzate…

BK: A ricoprire pareti e pareti…

Dal momento che non è un buon momento per il fumetto, se i negozianti devono scegliere tra ordinare 100 copie di un fumetto collegato al film degli X-Men che sanno di vendere oppure, ad esempio, 3 copie di un albo della Fantagraphics o della Topshelf o della Draw & Quartley o di un qualunque altro editore di qualità - che però è un po' difficile, un po' intellettuale, forse un po' più caro - allora sceglieranno sempre di comprare la roba degli X-Men. Se un negozio di Dublino è come uno  qualunque di qui, allora immagino che anche da te i fumetti siano marginali, e che la maggior parte del denaro venga da action figures, trading cards…

BK: Sì, da Forbidden Planet hanno un intero piano dedicato a quelle cose.

Certo. Qualunque cosa, ma non fumetti. Così è come vanno le cose. La situazione sarebbe diversa se le cose fossero andate in altro modo 15, 20 anni fa. Se ci fossero state le persone giuste nei posti di controllo sarebbero state capaci di "vedere" le cose e pensare: "bene, questo potrebbe aprire ai fumetti un nuovo grande mercato", invece di lasciarci condannati allo stesso degradante mercato che abbiamo ormai da 50 anni. Ma no, non c'era nessuno, nessuna struttura cui appoggiarsi. Ci furono alcuni artisti che giocarono le loro carte, e per la prima volta cercarono di rendere il fumetto qualcosa di interessante per gli adulti, ma non c'era una struttura. Le case editrici videro solo il profitto a breve termine, e non un’occasione da cui ripartire. Come ho detto, queste non sono persone dotate d'immaginazione.

BK: Parliamo dei fumetti che hai scritto. Riesci a ricordarti di V FOR VENDETTA?

Oh sicuro, sì, lo stavo rileggendo nei giorni scorsi, infatti. Mia figlia lo sta studiando all'università come parte di un qualche corso.

BK: Davvero? È un testo di un corso universitario?

Si, quello, WATCHMEN ed un paio di altre cose. Vedi, c'è una parte del suo corso d'Inglese dedicata alle graphic novel, ma i miei lavori fanno parte anche di altri corsi, tipo "Letteratura postmoderna". Non che ci sia qualcosa di cui andar fieri, voglio dire, fanno pure dei corsi dedicati alle Spice Girls (insegnano un sacco di merda all'università, per cui non c'è di che essere orgogliosi). Comunque sì, V FOR VENDETTA, sicuro, me ne ricordo.

BK: C'è un articolo alla fine del volume [di V FOR VENDETTA] intitolato "Dietro il sorriso dipinto" dove scrivi "C'erano delle risonanze che si stavano sviluppando e sembravano indirizzarci verso esiti più ampi di quelli che noi stessi avevamo accettato essere la norma per i fumetti". È stata quella la prima volta che scrivevi in uno stile con più livelli di lettura?

Penso sia stata una cosa venuta fuori mentre scrivevo. Con MARVELMAN c'erano alcune idee brillanti, ma è stato con V FOR VENDETTA che ho capito che si potevano ottenere effetti incredibili mettendo insieme immagini e parole o escludendo il testo per qualche sequenza. Ho iniziato a capire cosa si poteva fare con il fumetto e con i vari livelli di lettura che si potevano dare ad una storia.  Credo che V FOR VENDETTA sia stato uno dei primi lavori di un certo livello che ho realizzato nel mio stile personale.

BK: C'è un tema ricorrente, su come le idee siano più potenti del mondo fisico. Il personaggio di Evey dice - o pensa - riguardo a  V, "Chiunque tu sia non è più importante dell'idea che rappresenti" e poco dopo pensa "I tuoi nemici credevano che tu cercassi vendetta solo sui loro corpi, ma tu non ti  sei fermato lì… tu hai anche distrutto la loro ideologia". Per questo è come se la vera battaglia fosse tra le idee, quasi come se la violenza fisica fosse accidentale.

Quando abbiamo iniziato a fare V, l'idea originale era che volevamo creare un avventuriero dark, romantico e noir e poi pensammo d'ambientarla nel futuro e i dettagli lentamente si misero insieme… ad un certo punto capimmo che stavamo facendo qualcosa che riguardava la contrapposizione tra anarchia e fascismo e che c'erano molte questioni morali che venivano toccate e… sì, la storia era incentrata più sul mondo delle idee che su quello materiale e questa è una nozione che ha portato i suoi frutti recentemente in altre aspetti del mio lavoro. È un aspetto che mi coinvolge molto… la nozione che le idee siano più importanti della materia.

BK: Questa nozione ti colpì mentre scrivevi V, o era già lì?

Probabilmente c'era già. È sempre difficile ricordare quando ti è venuto in mente un determinato pensiero, anche perché molti saltano fuori mentre si scrive. C'è qualcosa di strano nello scrivere. Non è necessario che tu abbia in testa quello che devi scrivere, o puoi avere solo una vaga traccia e pochi dettagli - ma mentre stai scrivendo accade che le parole si suggeriscono da sole e così i pensieri e le idee - si tende ad andare in una sorta di trance. Quando scrivo qualcosa, specialmente se è un qualcosa di intricato, denso, complesso, mi trovo davvero in un differente stato di coscienza. Puoi notarlo. È sempre difficile capire quando hai cambiato stato di coscienza, ma è come se lo stato d'animo, l'atmosfera che ti circonda quando sei immerso nella scrittura… è come una trance, e la riconosco perché è la stessa sensazione che provavo quando disegnavo, o quando inchiostravo… quando la mano segue una linea a matita la tua mente non ha poi tanto da fare e allora scivola in quella specie di zona del crepuscolo… Ed è allora che un sacco di idee vengono fuori. E sembrano emergere all'atto stesso della scrittura.

BK: Sono perfettamente d'accordo con te. Trovo che sia come quando inizio a scrivere qualcosa da un certo punto di vista e invece è come se le mie opinioni fossero solo un aspetto di qualcosa di più complesso. Ed è allora che mentre lavori gradualmente inizi a vedere altri punti di vista ed altri ancora.

Sì, sì.

BK: Credo che sia l'unico modo per essere in accordo con i tuoi personaggi.

Riguardo i personaggi credo che V sia stato un bel passo avanti sotto molti aspetti. Sono molto soddisfatto delle caratterizzazioni in V. C'è una grande varietà di personaggi e tutti hanno una caratterizzazione che ben li distingue. Hanno tutti un modo diverso di parlare, diversi obiettivi. Penso siano tutti credibili, o meglio  sembrano emotivamente credibili a me perché non c'è nessuno di loro che io abbia assolutamente odiato. Neppure quando scrivevo dei fascisti.

BK: Devi aver pensato a lungo a una cosa per arrivare ad odiare…

Sì, esattamente. Vedi, originariamente quando ho pensato "Oh, i cattivi saranno i fascisti", è stata una cosa precisa perché così avrei fatto un po' di propaganda. Tieni a mente che in quel periodo - che hanno era? 1981? 1980? - io ero ancora coinvolto con cose come Rock Against Racism e l'Anti-Nazi League - ma non avrei fatto un buon servizio a nessuno rappresentando i Nazisti con monocolo, sigari e accento divertente.

BK: Perché tu non pensi in quel modo.

Sì. Quelle sono solo caricature. "Ziamo noi ke facciamo le domande", cose cosi. Invece i fascisti sono persone che lavorano nelle fabbriche, probabilmente sono gentili con i loro bambini. [Risate]. Sono gente qualunque. Sono come chiunque altro eccetto per il fatto che sono fascisti.

Non sono sicuro di ricordarla esattamente, ma la frase suona più o meno così: "Comprensione totale è amore totale". È così o viceversa.

BK: Credo d'averla già sentita.

Se comprendi davvero chiunque non puoi non amarlo.

BK: È una citazione?

Sì.

BK: Credo d'averla già sentita da qualche parte.

Credo che contenga un certo grado di verità. Il solo modo che si possa trovare per capire personaggi come Myra Hindley, Fred West, il generale Pinochet, è in qualche modo amarli, o almeno sospendere il giudizio, non odiarli, non provare repulsione solo a sentirli nominare. Se riesci in qualche modo a guardarli con compassione, allora puoi venire a conoscenza di qualcosa di utile su di loro.

BK: Penso che sia per questo che l'arte o la scrittura siano il modo più totalizzante di comprendere la realtà.

Sì, credo di sì. Penso che scrivendo, scrivendo di qualsiasi cosa - a meno che non stia scrivendo una storia su un solo personaggio (ma anche allora) - puoi immaginare di scrivere su tutto. Anche se c'è un solo personaggio chiuso in una stanza, per estensione c'è tutto il mondo là fuori che ha un'influenza su di lui. Mentre si scrive bisogna essere in grado di creare un mondo credibile in tutti i suoi dettagli, e questo significa che devi provare almeno un esile interesse per ciò che è il mondo reale e per come agiscono le persone reali. O almeno è come mi comporto io nel mettere insieme i miei personaggi. Devi provare interesse  per la realtà nella sua globalità se vuoi essere in grado di scrivere.

Quello che ho detto probabilmente non va bene per chiunque. Sono sicuro che sia possibile scrivere il 99% delle canzoni pop non provando interesse che per la classifica!

BK: Parliamo di WATCHMEN. Come in V FOR VENDETTA non c'è un narratore obiettivo e tutti i personaggi hanno filosofie molto diverse.

Riguardo WATCHMEN, per certi aspetti si può dire che discenda da MARVELMAN per via della visione distopica del mondo dei supereroi. In termini di tecnica, discende maggiormente da V FOR VENDETTA.
 
BK: È quello che stavo pensando anch'io. C'è di nuovo quella struttura narrativa multilivello.

C'è ma WATCHMEN è molto più complesso di V FOR VENDETTA. Confrontando superficialmente i due lavori, quello che ho spesso dichiarato è che WATCHMEN ha più cervello e raziocinio mentre V FOR VENDETTA ha più passione.

BK: Si, è giusto.

V FOR VENDETTA è un bel lavoro, ma forse non ha quella cristallina brillantezza multilivello di WATCHMEN ma credo che abbia più passione. Penso ci sia più cuore, più emozione in V. Detto questo, sono entrambi lavori di cui vado fiero. WATCHMEN è stato al tempo quanto di più ardito potessi immaginare di fare nel mondo dei supereroi. È stato come portare il fumetto in un luogo non segnato su nessuna mappa.

BK: Sai che ho pensato "Bene, questa è la fine del genere supereroistico".

Beh, al tempo pensavo: "oh bene, nessuno sarà in grado di produrre altro dopo questo, potranno solo smettere di fare fumetti di supereroi e fare qualcosa di meglio con le loro vite". Ma no, quello che successe fu la nascita di fumetti pretenziosi e vuoti - basta guardare l’Image dei primi anni '90 e vedere tutti quei disegnatori di supereroi senza alcuna capacità di scrittura cercare di rifarsi a WATCHMEN, Dark Knight e altri lavori di metà anni '80. Era come guardare il proprio nipotino bastardo e deforme o qualcosa di simile. Sì, penso che una volta David Bowie parlò di se stesso come "La faccia che ha lanciato migliaia di pretese", ed è stato un sentimento simile che ho provato vedendo l'effetto che WATCHMEN ha avuto sui comics, un effetto deleterio di cui non ci si deve poi sorprendere. Spesso i migliori lavori nati da un medium hanno gli effetti più negativi. Può sembrare paradossale ma prendi ad esempio MAD di Harvey Kurtzman negli anni '50 - e se mi chiedessi di scegliere il miglior fumetto di sempre, la mia scelta sarebbe proprio MAD - che per quanto sia stato un fumetto brillante ci ha condannato a 60 anni di fumetti umoristici che prendono il nome da malattie mentali o simili come Cracked, Sick…

BK: Ho letto che i personaggi di WATCHMEN sono basati su eroi dell'Universo DC. Ne so ben poco di quei vecchi personaggi…

È un fatto marginale, ma originariamente accadde che io e Dave [Gibbons] avevamo avuto un'idea per una storia di supereroi che necessitava di una continuity per i personaggi; non una continuity vasta, ma una continuity che legasse i personaggi. Così pensammo che se ci fosse stato un universo supereroistico di qualche casa editrice ormai defunta avremmo potuto sceglierne un gruppo di eroi e raccontare una storia che iniziava con l'omicidio di uno di loro. Una storia che avrebbe portato questi vecchi e familiari personaggi attempati in un mondo del tutto nuovo. Ora, in quegli anni Dick Giordano lavorava per la DC ed in precedenza aveva lavorato per una casa editrice chiamata Charlton Comics. Ora, mentre era alla Charlton aveva supervisionato la creazione di diversi personaggi ricordati con una certa nostalgia dai lettori e dai fan di comics. Alcuni erano stati creati o co-creati da Steve Dikto, come The Blue Beetle; The Question, una specie di vigilante estremista; un personaggio legato al nucleare chiamato Captain Atom; c'era anche un eroe chiamato Thunderbolt, un uomo che aveva il completo controllo dei dieci decimi del suo cervello ed era in grado di compiere imprese fisiche e mentali eccezionali. Come vedi, si tratta di supereroi tranquillamente dimenticabili ma…

BK: C'era un tizio con cappello ed impermeabile?

C'era un tizio con cappello ed impermeabile, ed era The Question. Era simile ad un personaggio di Steve Ditko di ideologia piuttosto destrorsa chiamato Mister A - troppo destrorso per apparire nei fumetti commerciali - di cui Ditko pubblicò alcune strisce nel mercato indipendente. Mister A era un fascista assolutamente insano, ma era realizzato davvero bene. Per cui originariamente dicemmo che avremo potuto fare la nostra storia con i personaggi Charlton, e Dick Giordano ci disse che potevamo fare quello che volevamo con quei personaggi. Per cui io e Dave partimmo buttando giù un progetto da poter fare con quei personaggi. Ora sebbene l'idea della storia fosse piaciuta, avevano appena pagato per acquisire la Charlton cosicché non sembrava sensato creare una serie dove alla fine un paio di quei personaggi sarebbero morti e un altro paio sarebbe stato così mal messo da non poterci più fare alcunché, per cui ci dissero "perché non tirate fuori dei personaggi tutti vostri?". Ci trovammo d'accordo e così prendemmo gli eroi Charlton solo come punto di partenza e questa fu una soluzione perfetta, perché Captain Atom era sì un supereroe nucleare ma neppure lontanamente interessante come il Dottor Manhattan!

BK: Ci credo.

Con il Dottor Manhattan siamo stati in grado di inserire nella storia tutti quegli aspetti di coscienza quantica.

BK: E il fatto che avesse cambiato il mondo.

Sì. Siamo stati in grado di fare molte cose ed è stato molto meglio che utilizzare i personaggi Charlton che comunque sono stati il punto di partenza. Rorschach è una logica estensione dei personaggi di Steve Ditko Question/Mister A, ma sono certo che Ditko non l'avrebbe mai creato. Infatti sapevo che in un'intervista a Ditko è stato chiesto se avesse letto WATCHMEN e cosa ne pensasse di Rorschach, e lui rispose "Oh sì, so chi è, è quello che assomiglia a Mister A, solo che Rorschach è pazzo". [Risate]. Ho pensato: bene era quello che volevo! Con Mister A con avrei avuto quell'effetto. Per cui è stato come prendere quei personaggi e portarli un passo a sinistra o a destra, sconvolgerli giusto un poco.

BK: Parlando di Rorschach, alla fine si toglie la maschera per affrontare la morte. L'ho notato solo di recente rileggendo il volume. Si tratta di una sorta di epifania psicologica, o che cosa?

Non so, non so, ma quello che dici mi sembra giusto. Io sentivo che cosa avrebbe fatto. Non so perché. Non posso spiegare razionalmente perché un personaggio abbia agito in un certo modo, ma mi sembrava la cosa giusta. Alla fine non c'è più la maschera, non c'è più Rorschach, ma c'è il vero essere umano che sta da qualche parte sotto il costume.

BK: È incredibile come questo sia venuto fuori, anche perché stiamo parlando di una persona che è morta, no?

Ma è lì. C'è ancora il bambino che ha vissuto un'infanzia terribile in orfanotrofio. E nel momento in cui sta per morire vuole comportarsi come uno che sta in prima linea. Non so, non posso davvero spiegare perché ho scritto così, solo che mi è parso che sarebbe stato quello che avrei fatto io se fossi stato Rorschach, ed è questa l'unica spiegazione che posso dare per giustificare i comportamenti di un qualunque personaggio.

BK: C'erano diversi interessanti microcosmi in WATCHMEN, come ad esempio "il Mercantile Nero". Il protagonista si chiede "Come sono arrivato a questa terrificante situazione avendo l'amore, solo l'amore come mia guida?", mentre nella storia principale qualcuno commette un genocidio per salvare il mondo.

C'è un punto verso la fine in cui Adrian Veidt dice d'essere stato "tormentato ultimamente da sogni in cui nuotavo verso" - e poi dice "no, non pensiamoci, non è importante", e credo che sia piuttosto ovvio che stesse sognando di nuotare verso il Mercantile Nero. Si, c'è una narrazione parallela. La storia di pirati è stato ancora una volta un fatto accidentale - dal numero tre - scaturito da un commento fatto durante una conversazione tra me e Dave. Stavamo cercando di mettere a punto l'ambientazione del mondo in cui si svolgeva la storia e così dissi "Che fumetti pensi si leggerebbero? Se hanno dei supereroi nel mondo reale, probabilmente non saranno interessati a fumetti di supereroi", e mi sembra che Dave rispose "Che ne dici di fumetti di pirati?". Così buttammo giù un po' di titoli per fumetti di pirati, tra cui "Storie del Mercantile Nero" perché sono un grande fan di Brecht.

BK: L'Opera da tre soldi?

Sì, il Pirata Jenny. Così nel numero tre ci fu un momento in cui avevo tutte queste cose diverse in svolgimento e capii che potevo avere il giornalaio che parlava, qualcun altro che avvitava dei segnali con il simbolo della radioattività in un rifugio atomico sulla strada, potevo avere un ragazzino seduto con la schiena contro un idrante elettrico vicino all'edicola mentre leggeva il suo fumetto, e potevo avere tutte queste strane storie che si svolgevano su livelli diversi, ma che potevano interagire tra di loro.

BK: Sì, ciascuna storia faceva da commento alle altre.

Ho improvvisamente capito quale beneficio fosse avere la storia di pirati racchiusa entro la struttura narrativa generale, in modo che potessi utilizzarla come contrappunto. Sì, credo che alla fine abbia finito con l'essere la storia di Adrian Veidt, ma ci sono momenti durante lo sviluppo della storia di pirati in cui questa si lega alle vicende di Rorschach e alla sua cattura, oppure all'esilio volontario del Dottor Manhattan su Marte. L'ho potuta utilizzare in tutte queste diverse parti della narrazione e successivamente ho utilizzato lo stesso meccanismo in altri lavori che probabilmente hanno visto in pochi. Mi riferisco ad esempio da BIG NUMBERS che ha due o tre microcosmi di questo genere nel suo interno, e a LOST GIRLS, che uscirà nel 2001.

BK: Ah, è finito?

È quasi finito. Al suo interno abbiamo un microcosmo dato da un libro pornografico trovato nell'hotel in cui si svolge la storia. È un volume chiamato "Il Libro Bianco" e sembra essere stato scritto e illustrato da artisti come Beardsley, Egon Schiele, Oscar Wilde. È un libro di pastiches, e ancora una volta può essere utilizzato come contrappunto per la storia principale. Per questo posso dire che si tratta di un trucco narrativo che mi è diventato ormai familiare.

BK: C'è una cosa che mi ha fatto pensare, nel numero tre c'è una vignetta che credo sia un microcosmo per l'intera storia. È quando vediamo il tizio della "Ditta Serrature il Nodo Gordiano" e alla fine si può dire che il piano di Veidt rispecchia la soluzione del Nodo Gordiano, non è vero?

Sì, in un certo senso.

BK: Utilizzare la forza per risolvere una situazione.

In realtà, credo che quando ho dato il nome alla ditta, pensavo d'avere bisogno di un addetto alle serrature e mi sono chiesto "Quale può essere un buon nome per una ditta di serrature? Ditta Serrature il Nodo Gordiano: non riusciranno mai ad aprire questo!" Ed è stato una specie di gioco. Ho pensato di usare "Non riusciranno mai ad aprire questo!" come slogan della ditta, e poi ho incominciato ad inquadrare la fissazione di Veidt con Alessandro Magno, e quindi la storia in sé come una sorta di nodo.

BK: Sì, ma quando l'addetto alle serrature appare per la prima volta c'è un momento in cui Janey Slater dice "Una volta rotte, certe cose non si posso più aggiustare" ed in un certo senso è come quando Jon dice alla fine a Veidt "Nulla ha mai fine".

"Nulla ha mai fine", sì, vero.

BK: E poi c'è Seymour che sta per prendere il diario alla fine.

Sì: "È tutto nelle tue mani".

BK: Beh, una vignetta del genere ha…

Capisco. Vedi, quello che abbiamo cercato di fare con WATCHMEN è stato realizzare una struttura cristallina, come un gioiello con centinaia e centinaia di facce, e ognuna era una sintesi di tutte le altre facce e potevi guardare ad una sola delle singole facce avendo una visione d'insieme del gioiello assolutamente coerente. Sì, in pratica ogni singola vignetta in qualche modo riassume l'intera storia.

BK: Un'altra cosa che ho trovato davvero divertente è verso la fine quando c'è un poster per una proiezione di Tarkovskij, e i due titoli dei film erano Nostalghia e Il Sacrificio.

Avevamo pensato che visto che l’ambientazione era un periodo di post-riconciliazione, sarebbero stati mostrati anche film di autori russi.

BK: I due titoli dei film sono proprio azzeccati.

Nostalghia è una parola che abbiamo usato durante tutta la storia. Abbiamo pensato "Bene. Che cosa darebbero in quei cinema in cui prima proiettavano film americani anni '50 di genere catastrofico?" e ci siamo risposti "Ora danno film russi" e credo che sia stato Dave a suggerire Tarkovskij e dire "Ci sono questi due film, Nostalghia e… Il Sacrificio". Un sacco di questa roba ci è venuta addosso così. Per dirti, non sapevamo che su Marte ci fosse una faccia sorridente. L'abbiamo scoperto dopo che su Marte c'era un cratere che somigliava ad una gigantesca faccia sorridente.

Quando l'abbiamo fatto non sapevamo neppure che appena un mese dopo l'uscita di WATCHMEN il documento sullo scandalo Iran-Contras sarebbe stato pubblicato recando in conclusione la frase di Giovenale "Quis custodiet ipsos custodes? - Chi sorveglia gli stessi guardiani?"

È stato ben strano quel periodo. Mettevano un po' di paura tutte quelle coincidenze, e poi… tutto d'un tratto l'immagine centrale di WATCHMEN [lo smile] è finita sulle magliette da acid house, e così in un certo modo quello che prima era solo nella testa mia e di Dave è entrato a far parte della cultura popolare. È una sensazione un po' strana.

BK: Poi hai fatto BATMAN: THE KILLING JOKE.

Sì, è stato fatto mentre stavo scrivendo WATCHMEN, o poco dopo… non sono sicuro, comunque è stato realizzato troppo a ridosso di WATCHMEN. Voglio dire, Brian [Bolland]  ha fatto un lavoro meraviglioso con i suoi disegni, ma non penso che sia un book riuscito bene. Non dice niente di davvero interessante… WATCHMEN aveva a che fare con il potere, V FOR VENDETTA parlava di fascismo e anarchia, THE KILLING JOKE era solo Batman e Joker - e Batman e Joker non sono simboli di un qualcosa che ha riscontro nel mondo reale, ma sono solo due personaggi dei fumetti.

BK: Ho solo il numero uno di BIG NUMBERS.

Ne sono usciti due. Doveva essere un capolavoro, un magnus opus. Penso ancora che quei due primi numeri siano tra i migliori lavori a fumetti del periodo. Ho cinque sceneggiature già scritte.

BK: Credo d'aver capito come sarebbe andata la storia.

Sì, avevo l'intero soggetto della storia, era tutto scritto su un enorme foglio A1, come se fosse stato un grafico. L'idea era che stavamo facendo un fumetto davvero buono e che l'avremo autoprodotto. Eravamo davvero coinvolti nel progetto, ed erano i miei soldi che avrebbero sostenuto tutto. Quello che successe fu che Bill Sienkiewicz, dopo aver promesso che l'avrebbe illustrato, fece un ottimo lavoro nei primi due episodi e poi smise di lavorarci. Tutti i soldi finirono come in un buco nero, perché l'albo veniva ancora annunciato ma non potevamo uscire perché mancava il disegnatore. Allora dicemmo "Bill, se non vuoi fare questo lavoro, diccelo e penseremo a qualcun altro, un sostituto o qualcos'altro, ma diccelo, così che tutti i soldi investiti nel progetto non finiscano sprecati". Bill continuò per diversi mesi a non avere il coraggio di dirci che non voleva più lavorarci, e allora la situazione divenne disperata. Poi intervenne Kevin Eastman, quello delle Teenage Mutant Ninja Turtles, con la sua Tundra, casa editrice coraggiosa ma destinata al fallimento e cercò di produrre BIG NUMBERS. Cercammo di prendere Al Columbia, che era stato assistente di Bill Sienkiewicz, per continuare il fumetto. Ora, ho sentito che Al avrebbe concluso un episodio ma, dipende da quale versione si creda, o ha distrutto le tavole o le ha date via, o non so bene che cosa sia successo, comunque abbiamo così due disegnatori che si sono tirati fuori dal progetto.

BK: Pensi che rimarrà per sempre un lavoro incompiuto?

Non vedo alcun modo in cui sia possibile resuscitarlo come fumetto. Voglio dire, che cosa posso fare? Potrei dire "Abbiamo un nuovo grande artista, e ripartiremo di nuovo dal numero uno, ma stavolta arriveremo davvero al numero dodici". Io stesso, se sentissi un discorso simile da una persona che ha fallito due volte nel fare quello che diceva di voler fare, non lo comprerei. Per cui la sola possibilità per BIG NUMBERS è Alex Usborne che fa parte della Picture Palace Productions, quella che ha fatto The Acid House Trilogy di Irvine Welsh.

BK: L'hanno trasposta in un film.

Si, hanno fatto una piccola trilogia di film intitolata The Acid House Trilogy, un paio dei quali erano dei bei lavori, e questo è stato fatto dalla Picture Palace Productions. Ora Alex sta lavorando con me. Abbiamo messo insieme un interessante presentazione, episodio per episodio, della storia…

BK: Per la televisione?

Per la serie televisiva di BIG NUMBERS. Dovrebbe essere una specie di dramma in dodici episodi.

BK: A SMALL KILLING.

È uno dei miei preferiti.

BK: Quando l'ho letto la prima volta, nel '91, non mi è piaciuto perché il personaggio principale non sembra capire le cose ovvie, devo averlo trovato noioso…

Il personaggio principale è un'idiota.

BK: Ma la seconda volta che l'ho letto, qualche settimana fa, mi è piaciuto. È una cosa misteriosa…

È una lettura che migliora con il tempo.

BK: Sembra che Timothy vada contro la propria natura, anche se la sua natura non è ovviamente quella di vendere soft drinks ai Russi, tuttavia non sembra neppure vicina ai suoi ideali di gioventù.

L'intero lavoro è nato quando Oscar Zarate mi ha contattato. Oscar è diventato uno dei miei migliori amici, amo Oscar, è un grande. È una delle persone più cordiali e sagge che conosca. Venne da me e mi disse "vedi, dobbiamo fare qualcosa insieme" e io risposi "Si, d'accordo"… Così è nata la storia tra di noi, da conversazioni avute insieme. Oscar aveva un’idea precisa del fumetto che voleva fare, e aveva l'immagine di uno che veniva perseguitato da un ragazzino, o uno che veniva seguito da un ragazzino… penso che quell'immagine fosse nella sua testa e lui non sapeva altro. Allora quando me l'ha raccontata io ho detto qualcosa del tipo "Bene, che ne dici se quel ragazzino è lui stesso?"

BK: Si vede sin dalla copertina.

Sì. Sì, proprio così, avrei voluto che avessimo nascosto la cosa un po' di più. Ma penso che sia un ottimo lavoro e ne sono molto felice. Quando è uscito penso che la gente l'abbia trovato monotono perché avevano appena letto Watchmen o The Killing Joke e c'era una specie di "Beh, allora? Quand'è che succede qualcosa?" La storia si basa tutta su un tizio ossessionato da se stesso. Ad ogni modo, sono contento che tu l'abbia riscoperta dopo dieci anni. Penso che sia un’opera molto contemporanea. So bene che è ambientata negli anni '80, ma al tempo quello non era un modo comune di guardare agli anni '80. È un aspetto che la gente ha colto in retrospettiva.

BK: Penso che ci sia un sacco di gente come Timothy, adesso. Con lo stesso modo di pensare, di approccio al lavoro e alla vita.

Vedi credo che [Timothy] fosse il tipo di persona che stava emergendo in quel periodo, ma che forse non era emerso in modo così chiaro per la gente tanto da capire di cosa stavamo parlando. Così, è un altro lavoro che ho fatto… A Small Killing, è uno dei miei lavori preferiti.

 
 Articolo  di Barry Kavanagh, redazione di Ultrazine, traduzioni di Smoky Man


Un ULTRA ringraziamento a Barry per l'autorizzazione alla traduzione. Il testo dell'intervista è copyright di Barry Kavanagh e Alan Moore. La traduzione è copyright di Ultrazine.

Nota: Barry Kavanagh è uno scrittore e musicista di Dublino. L'intervista è stata condotta il 17 Ottobre 2000 ed è apparsa originariamente sul sito www.blather.net e su www.hellshaw.com/barry/index.html, dove può essere letta in versione integrale.

Le opinioni espresse negli articoli sono dei singoli autori. L'articolo è tratto dalla rivista telematica ULTRAZINE che ringraziamo calorosamente per la collaborazione. Ultrazine è un'idea di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.Realizzazione grafica di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


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